Alle soglie dei 70 anni, Michael Gira ricompone per la quarta (?) volta il progetto Swans, dopo una sosta durata 4/5 anni, che vista la pandemia ci può stare, anche se non sono proprio canoni abituali per l’inquieto autore newyorkese.
Di fatto, la precedente versione forse era durata un pò oltre il suo naturale corso, con almeno un album (“Leaving Meaning”) ripetitivo e con la lunghissima scia dei live, esperienze anche estenuanti, che alla fine mollavano gli adepti in uno stato di sfinimento, compreso quello del leader, stremato alla fine di ogni act.
In “The Beggar” l’effetto di questo ingombrante recente passato si manifesta nella volontà di procedere con una formazione più accorta, più centrata e meno dispersiva nell’accogliere gli stimolanti bozzetti del leader, soprattutto meno dispendiosa di ospiti, ad eccezione della presenza in pianta stabile di uno come Ben Frost, perfettamente in linea d’altra parte con tutto il mondo Swans.
L’album a scanso di equivoci non tradisce le attese e rinnova il rito in musica del processo di svelamento del mistero da parte di Gira, la sua inquieta e turbolenta volontà di sondare gli aspetti più profondi dell’esistenza, il desiderio di cedere alle riflessioni inconscie che il suono, la musica può permettergli di espandere, dando a essa il significato più alto che possa pretendere di avere, lo strumento più emblematico ed ambizioso che dilata i nostri stati percettivi, la visione altra delle cose non per quello che sono ma per come le vediamo, che solo l’espressività artistica come appunto quella musicale permette al meglio di tradurre.
Gira al suo 16° album, mai domo di questo suo percorso, centra l’obiettivo ancora una volta, nell’ennesima resurrezione dalle ceneri del cigno nero, in un concept sfaccettato, ampiamente il migliore dai tempi di “The seer”, dove si ritrovano i lunghi vortici del periodo precedente ma anche la sintesi di certe ballate, dove si sentono, per la prima volta in modo chiaro, richiami ad altre band (Velvet, Mercury Rev), dove si gusta al solito l’esperienza immersiva del fare musica del leader, che prende ispirazione e nasce da una costruzione minimale delle canzoni, lui da solo con la sua chitarra acustica, la ripetizione del gesto di semplici accordi, le frasi che escono, la mutazione della sequenzialità delle piccole cose, ciò che inizia e ciò che prende vita nel processo creativo , ciò che è Gira a 69 anni e ciò che successivamente la band gli costruisce attorno, fra psych folk e sfuriate rumorose con una produzione attentissima a cogliere e rendere distinte le diverse situazioni di ascolto.
Un ascolto beninteso non facile, sempre impegnativo e da scegliere con cautela, siamo sempre dentro una sperimentazione che non lascia spazi di confronto, ma forse rispetto al passato c’è una maggiore coesione, un magnetismo antico e canalizzato verso un maggiore coinvolgimento.
Per non voler poi sottrarsi comunque all’idea della maestosità del recente passato, troviamo pure la titletrack con 43 minuti di durata, il brano più lungo che gli Swans abbiano mai prodotto, distante dalla durata del resto dei brani di “The Beggar” che arrivano più o meno ai 10 minuti, ma elemento indivisibile al suo interno in quanto ingloba e rafforza l’amalgama delle diverse anime dell’album, in una sorta di cut up allargato di jams, concrete music, manifesti orali, trance music, una cosa che sarebbe piaciuta al Oneothrix Point Never degli esordi.
Gira dipinge con tratti ombrosi e maledetti un nuovo manifesto del suo passaggio musicale, con il suo timbro ieratico e sempre più commovente fra desiderio ecumenico di condivisione (“No more of this”), enigmatiche riflessioni sullo stato dei nostri pensieri (“Paradise is mine”), buffe prese in giro sulle sue stesse prediche (“Michael is done”), la mai rassegnata volontà di trovare la forza proprio dove inizia la comprensione della propria nullità ( “I am wrong in this skin/But that’s where my need for you begins” in “Why Can’t I Have What I Want Any Time That I Want?”).
Swans, per ora basta questo “The Beggar”, basta e avanza per un pò di anni fino alla prossima reincarnazione.
Into the Mistery, again.