“New Waves” è la rassegna, dentro la rassegna “Summer Fest”, in cui la “Casa del Jazz” ha deciso di concentrare le proposte più “avanguardistiche” della sua programmazione estiva. In ogni concerto, un artista italiano ne introduce uno internazionale. E’ stato il caso di Gianluca Petrella e la sua Cosmic Renaissance che hanno aperto per il batterista americano Makaya McCraven e la sua band.
Complessivamente, circa due ore e mezza di grande musica, che non esiterei a definire jazz, per quello che è il linguaggio adottato. Che poi vi sia una percentuale d’innovazione, in entrambi gli artisti, non lo metto in dubbio. Ma il fatto che la “Casa del Jazz” li consideri parte di un qualcosa di “nuovo” dice forse di più sul venue che sugli artisti stessi. Lungi da me ogni polemica, anzi, tutta la gratitudine possibile per avere messo sul palco, l’uno dopo l’altro e per un modico biglietto di 25 euro questi due bravissimi artisti.
La Cosmic Renaissance parte forte alle 20.05 nell’afa romana con i grilli del parco che fanno accompagnamento. E tiene il ritmo serrato per i successivi 70 minuti. Petrella è un vero leader, entusiasta e coinvolgente verso i suoi compagni e verso il pubblico. Il suo sound affonda in tanto “jazz cosmico” degli anni ’60 e ’70, tendente verso la World Music e finanche il rock. Al punto che si sentono forti e chiari precisi echi di Santana in alcuni passaggi. La band, tutta tricolore, è di altissimo livello con un batterista e un percussionista a sottolineare l’importanza del ritmo e a dargli complessità.
Gran concerto, ma con Makaya McCraven si sale ulteriormente di livello. E’ subito chiaro con “This Place, That Place” scelta per cominciare il set. Sorprende un pò che l’opener sia lasciato a un pezzo di un certo impegno tecnico. Tuttavia, lo stratagemma funziona nel mettere subito in chiaro l’estro batteristico del nostro. Il suo drumming s’impone per carisma, evidente anche a un ipoudente. La scaletta a seguire si basa molto sull’ultimo acclamato disco “In These Times”, riprodotto quasi per intero. Ma le tracce sono allargate e riarrangiate, nella migliore tradizione “bop”, che consente ampio margine ai musicisti nell’enfasi del momento. Matt Gold alla chitarra ha un timbro fortemente espressivo; Julius Paul al basso è un gigante sia del ritmo che della melodia; Greg Ward alla tromba è sempre originale.
Insieme, se vogliamo, ai Bad Bad Not Good (con tutte le distinzioni del caso), Makaya e i suoi si confermano dal vivo come la forza più convincente del movimento “fusion” contemporaneo. L’esperienza live ne esalta le capacità e dispiace solo sapere che la discografia disponibile (tutta in studio) del nostro, una volta tornati a casa dal concerto, non consentirà di rivivere in pieno l’esperienza appena fatta.