Questo meme che ho trovato nell’internet giorni fa sintetizza quello che penso dell’ultimo “Mission Impossible” e della saga dell’agente Ethan Hunt in generale:
Datemi Tom Cruise che corre come un robottino e mi fate felice. Potrei guardare per 3 ore Tom che corre a piedi in autostrada inseguito da un tir e raggiungerei il nirvana, la pace dei sensi, l’estasi. Il franchise di “M:I” ormai ha quasi 30 anni ed è diventato una cosa molto diversa da quello che era il film di De Palma del ‘96. È passato attraverso quella indimenticabile tamarrata action di John Woo, che rivisto oggi sembra “Calabria Terra Mia” di Muccino con il virus chimera al posto del bergamotto, e ha superato l’impronta di JJ Abrams che ci ha infilato dentro Simon Pegg e ha dato un cuore grosso così all’agente Hunt.
Dal quarto capitolo in avanti “M:I” è diventata una roba molto più omogenea, un franchise basato sulla “famiglia” che combatte i terroristi, corre in auto e moto in mezzo a ordigni nucleari e alza sempre di più l’asticella dell’assurdo.
Vi ricorda qualcosa?
In realtà “Mission:Impossible” non ha copiato “Fast and Furious”, i due franchise si sono condizionati a vicenda diventando nel corso degli anni due facce di una stessa medaglia ed è una curiosa coincidenza che “Fast X” e “M:I 7” abbiano entrambi un lunghissimo e spettacolare inseguimento per le strade di Roma. “Mission: Impossible” è comfort food che, se ti piace, non ti stanca mai e “Dead Reckoning parte 1” rappresenta esattamente quello che il franchise è diventato oggi, reinventandosi e autocitandosi all’infinito: allarme nucleare, benji che rischia di saltare per aria, Ethan che cerca di aiutare donne che scappano da lui, la versione pompata di steroidi del treno di De Palma.
Corri Tom, corri ancora e ancora e ancora e ancora…