E’ un coming of ages dolce, delicato e divertente, questo adattamento dell’omonimo romanzo di Judy Blume del 1970.
La piccola Margaret si appresta a diventare adolescente con tutto quello che comporta in un sobborgo americano, dopo che i genitori hanno lasciato New York per necessità di lavoro, e si sceglie come voce della coscienza, come confidente immaginario, Dio. Proprio lei che non sa a quale rivolgersi, se a quello cristiano che a rovinato il rapporto della mamma con i nonni o quello ebraico, verso la quale cerca di spingerla la sgargiante nonna paterna.
E così questo Dio non ben identificato si troverà a ricevere preghiere con in oggetto la felicità familiare, ma anche il riempimento delle coppe del reggiseno e l’arrivo delle mestruazioni.
Margaret e la sua famiglia si muovono lieti in quadri limpidi che ritraggono gli anni ’70 con garbo e nostalgia di una dolcezza che forse oggi davvero non esiste più. A momenti struggenti, ma mai veramente drammatici, se ne aggiungono altri pienamente comici, come l’indimenticabile irruzione di un fratello maggiore in camera mentre Margaret e le amiche compiono il rituale “I must, I must, I must increase my bust”.
Molto bene il fronte interpetazioni, che può contare su una solida Rachel McAdams nel ruolo della mamma di Margaret, un misurato e conciliante Benny Safdie in quello del papà, l’istrionica Kathy Bates in quello della nonna, ma soprattutto nella protagonista Abby Rider Fortson, spontanea e tenera quanto, all’occorrenza, birbante e decisa.