Il nome di Lauren Auder circola da tempo tra gli addetti ai lavori con quell’insistenza che può voler dire tutto o niente a seconda dei casi. Non solo hype però se parliamo di questa ventiquattrenne transgender nata vicino Londra, cresciuta ad Albi in Francia e tornata in Inghilterra nel 2016 dopo aver iniziato a collaborare con artisti del mondo hip hop come Lord Pusswhip, Jeshi e Slowthai.

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Due EP pubblicati tra il 2018 e il 2020, “Who Carry’s You” e “Two Caves In” –  il palco condiviso con Christine And The Queens durante il tour di “Chris” hanno creato la giusta attesa per questo primo album anticipato da un terzo EP (“5 Songs For The Dysphoric”) nel 2021. “The Infinite Spine” propone un pop raffinato, gotico, orchestrale, contaminato ed elegante che può ricordare il percorso artistico intrapreso da Anohni.

Voce intensa e baritonale quella di  Auder che sa essere allo stesso tempo sofferta ed esplosiva, uno stile già definito e rifinito fin dalle prime note di “33& golden”. Orchestrazioni, tastiere, piano, elettronica si succedono di buona lena in dodici brani ritmati (“city in a bottle”, la furiosa “the ripple” prodotta da Mura Masa) con toni che possono diventare drammatici (“118-madonna”, “730kingfisher”, “datta920″) e ricchi di tensione come “hawthorne81” senza mai cadere nella trappola del melodramma. 

Ballate evocative veramente ben fatte (“atoms” e “equus”) la grinta di “we2assume2many2roles”, le melodie fulgide e accuratamente cesellate di  “being there (all my 48s)” e “all needed here” fanno di “The Infinite Spine” un album di classe, arrangiato con attenzione non così comune al giorno d’oggi. Il disco di un’artista che sa sperimentare e prendersi il suo tempo arrivando già matura a un esordio sulla lunga distanza che lascia il segno.