Di nuovo a Chicago, di nuovo in cucina, di nuovo a fare i conti con le insicurezze, con le ferite che faticano a rimarginarsi. I luoghi, fisici o figurati che siano, sono gli stessi della prima stagione e ancora una volta, insieme ad un uso coinvolgente del montaggio e della fotografia, fanno della serie di Storer un’esperienza sensoriale ancor prima che emotiva.
Con due episodi in più e il minutaggio in media più ampio, questa volta si tira il fiato più di frequente, c’è più tempo per scoprire i personaggi e affrontare con loro un percorso di crescita – vedi i lunghi e bellissimi episodi dedicati ai personaggi di Marcus e Richie. La cosa ha comportato forse una normalizzazione della narrazione, certamente meno rapinosa e concitata che nella prima, scioccante stagione, ma va bene così, se poi sul piatto vengono messi divertissement come “Fishes” – Christmas Special atipico e, anche grazie alle preziose comparse di Bob Odenkirk e Jamie lee Curtis, destinato a restare nella storia della Tv.
Quasi giocando al rialzo, tra discorsi sui Replacements e indieitudine a catinelle, la colonna sonora riesce a fare meglio di quella della prima stagione. Anche sul tramontare della stagione, con una “Strange Currencies” utilizzata da infarto che riesce a fare il pari all’utilizzo di “Let Down” sul primo season finale.