Qualche settimana fa mi è capitato un reel dove Christopher Nolan, assieme ad un intervistatore, commentava dei post relativi al mondo cinematografico da lui creato. In uno si leggeva “My life is like a Christopher Nolan movie, I don’t really understand what’s going on”. Alla domanda dell’intervistatore “What would you tell him or her?”, il regista britannico ha risposto “I’d say, don’t try to understand it. Just feel it”.
“Oppenheimer” è il nuovo ed attesissimo lavoro di uno dei registi contemporanei più acclamati ed interessanti del nuovo millennio. Uscito in Italia un mese in ritardo, a differenza di quasi tutto il resto del mondo, il lungometraggio ha subito raggiunto la prima posizione del box office italiano e arrivando quasi al miliardo d’incassi a livello globale. Già con i numeri è un successo, ma per il resto è davvero così?
Il biopic ripercorre la vita del fisico Robert Oppenheimer, raccontata nel libro vincitore del premio Pulitzer “Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica” di Kai Bird e Martin J. Sherwin. A fare le sue veci la musa di Nolan, Cillian Murphy, circondato da un cast stellare come Emily Blunt nei panni della moglie Kitty; Florence Pugh, l’amante di sinistra Jean; Robert Downey Junior il cattivo ammiraglio Strauss ed infine Matt Damon nella parte del generale americano che dà il via al Progetto Manhattan.
Non solo viene narrato tutto il percorso accademico del fisico fino alla creazione della prima bomba atomica, ma anche tutto ciò che è accaduto successivamente a quel fatidico momento storico ovvero il suo cambio di rotta, la decisione di andare contro la sua stessa creazione e diventare così un profilo pubblico scomodo agli alti vertici governativi. Viene quindi riproposto tutto il processo farsa per togliergli ogni autorizzazione statale a continuare gli studi, un processo orchestrato da un burattinaio che si diverte a giocare col destino di Oppenheimer.
In poco più di tre ore si vede tutta la bravura di Nolan a livello narrativo e tecnico. In primis, la presenza fondamentale del tempo che anche qui è protagonista in tutti gli archi temporali incastrati e connessi l’uno all’altro (all’inizio magari si farà fatica a capire a quale periodo si rifà quella determinata scena, ma poi tutto torna). In seconda istanza, l’abile tecnica registica che ancora una volta stupisce gli spettatori: il film è girato in pellicola IMAX 70mm, per dare la possibilità di vedere proprio tutto e non perdere quindi nulla; è presente pochissima CGI in quanto la bomba atomica è ricreata, in miniatura, realmente (non sto scherzando, è tutto vero) e le scene nelle varie location americane ed europee sono effettivamente girate in loco (compresa Los Alamos, ricreata appositamente ad un centinaio di chilometri dallo storico luogo); la fotografia è come sempre eccezionale, sia se assiste alla proiezione in digitale (o IMAX o 70mm) sia a quella in pellicola 35mm (proposta in molti cinema tra cui Milano), in quanto proposta in chiave a colori (per le scene in soggettiva del protagonista) e in bianco e nero (per quelle oggettive, realmente accadute come fatti storici); infine il suono, un suono che dà fastidio allo spettatore in alcune scene per quanto forte ed impattante quasi a voler far provare lo stesso disagio provato dal protagonista in certi momenti (per dirvi che la prima volta che l’ho visto, a Berlino in una sala per 70mm, le poltrone e le pareti tremavano).
E a fargli da spalla, di nuovo, è un grande musicista a comporre la colonna sonora. Tra le tante cose che si ricorderà una volta usciti dalla sala è proprio la musica di Ludwig Göransson (“Black Panther”, “Tenet”) ad accompagnare le vicende di Robert Oppenheimer. Un crescendo di archi costante, disturbante a tratti, ma grandioso sempre.
Se si vuole assistere alla combo IMAX e 70mm, però, bisogna andare a Londra o Manchester o Praga. Qui nel nostro paese ahimè o lo vedi in un modo o nell’altro (e non è scontato che in tutte le città ci sia la possibilità). Detto ciò, l’importante è vederlo e basta. E sapete perché? Perché queste tre ore volano, volano alla grande grazie alla bravura di questo regista che ancora una volta ci ha stupiti con un Capolavoro con la C maiuscola.