Un viaggio on the road dal sapore cinematografico, una lunga serie di immagini personali e dal profondo significato. Così viene descritto “Clear Pond Road”, nuovo album solista di Kristin Hersh che ritroviamo in una veste più introspettiva, raccolta ma non meno grintosa rispetto a Throwing Muses o 50 Foot Wave. Dieci brani come pagine di diario, scritte con la sincerità tipica di una musicista che non ama nascondersi.
Un segnale stradale trovato in un negozio di seconda mano adorna la copertina, con tanto di luci natalizie à la Stranger Things per raccontare il suo Sottosopra, i viaggi fatti con il figlio più piccolo quando si sentivano due sopravvissuti. Circondata da archi, mellotron, glockenspiel, field recordings, le dita impegnate a suonare l’immancabile chitarra, tra attimi di passione tenuta a freno, perché non diventi mai rabbia.
La voce di Kristin Hersh con gli anni è maturata, si è arricchita, la grana spessa che ricorda quella delle fotografie di una volta, genuine e senza filtri. Pura in “Bewitched Reruns”, soffusa ed evocativa nella viscerale “Dandelion” e minimale, misteriosa in “Constance Street”.
Toni noir quelli di “Thank You, Corner Blight” e “St. Valentine’s Day Massacre” che rendono più affascinante il viaggio orchestrato da una Hersh che sa essere magnetica come tante volte le era capitato anche in veste solista, un’intensità quasi dolorosa quella espressa in “Reflections On The Motive Power Of Fire” o “Eyeshine” dall’anima rock e dal sinuoso corpo classico.
Lavora per sottrazione Kristin Hersh. “Clear Pond Road” riprende il filo tematico di “Possible Dust Clouds”, le trame sottili di “Palmetto” in cerca di quiete con un arrangiamento spettrale, melodie gotiche e lunari. L’ultima è la canzone più triste, graffia e ammalia “Tunnels” e la voce si fa quasi sussurro. No la speranza non è un crimine e neppure una tragedia Kristin dixit e il mondo evocato in questi dieci brani lo dimostra.