Ho letto per la prima volta il nome di Vagabon, che, appunto, non conoscevo, come ospite del tour, di quella, che è di fatto, la mia artista preferita in ambito di cantautorato al femminile, ovvero Weyes Blood, quindi ho pensato che, se Natalie Laura Mering fosse felice di ospitarla, come minimo sarebbe interessante approfondirne il repertorio, non solo perché appunto avremo magari occasione di vederla dal vivo, quindi almeno un minimo di familiarità, ma anche, ovviamente, per conoscere, viste le premesse, un’artista sicuramente interessante.
Laetitia Tamko, il nome all’anagrafe che si cela dietro il moniker Vagabon, è una polistrumentista, cantautrice camerunese-americana, classe 1992, viene da New York City e ha già all’attivo un paio di album, “Infinite Worlds” del 2017 e l’omonimo “Vagabon” del 2019, prima di questa nuova fatica, “Sorry I Haven’t Called” uscito il 15 Settembre per la blasonata label Nonesuch dopo quattro anni di silenzio.
Nel fatidico terzo album, si percepisce subito una scrittura più matura rispetto al recente passato, anche accomunabile, sebbene con un modo di fare diverso, per esempio alla quasi coetanea e osannata Arlo Parks (tra l’altro ci saranno serate condivise anche con lei), più pop e dreamy quest’ultima, più glaciale Vagabon.
Non mancano, comunque, i ritornelli da canticchiare, un songwriting accompagnato da una produzione leggera ed elegante, quanto centrata, che permette ai brani di configurarsi al meglio. Il tutto si lascia ascoltare senza impegno, come spesso può essere un disco, ed è tutt’altro un’accezione negativa, per esempio “Lexicon”, di fatto il singolo, che accompagna l’uscita dell’album stesso, risulta ancora più profondo, pur rimanendo sui terreni della musica leggera, ma anche “Autobahn” si muove con lo stesso passo, pochi suoni e la voce di Leatetia sul velluto, per non dire di “Passing Me By”, altro brano agrodolce tra modernità e suoni sintetici, o la lisergica “Nothing To lose”, ma anche la movimentata “Do You Worst”, uscita in estate, sostanzialmente pop mainstream con un tessuto sonoro che rispolvera quasi un certo drum & bass.
Comunque laddove ci siano canzoni più statiche e, magari, meno autorevoli, è la produzione e la stessa voce a renderle all’altezza.
Nel complesso un lavoro interessante, anche per chi, come il sottoscritto, abitualmente, frequenta altri lidi sonori.
E in questo caso, aver raggiunto una certa trasversalità è il miglior complimento.