La sua chitarra contro il mondo. O meglio, la sua chitarra per il mondo. È un po’ questo il succo del ritorno di Bombino con il suo nuovo album, “Sahel” (che tradotto significa “bordo del deserto”). A cinque anni dall’ultima uscita discografica (che gli è valsa persino una nomination ai Grammy), l’artista africano – Tuareg, per l’esattezza – si ripresenta sotto le luci dei riflettori con un’opera blues dal sapore psichedelico, elettrico, multiforme, contenente dei testi mai così incisivi ed espliciti. Un’opera dal mood “desertico”, se vogliamo, ma piena di meravigliose sfaccettature.
“Tazidert”, il brano che apre le danze, si sviluppa attraverso un ipnotico giro di chitarra che ci catapulta immediatamente nelle atmosfere etniche dell’album. “Alwane”, invece, ha un ritmo più lento, cadenzato, come se Bombino volesse porre l’accento più sul messaggio della canzone che sul suo contorno sonoro. Del resto, l’intento del musicista quarantatreenne, è proprio questo: porre l’accento sulle difficoltà e sulle ansie quotidiane del suo popolo.
Ad ogni modo, non si tratta di mera autocommiserazione, ma di un invito a reagire, a rimboccarsi le maniche per riuscire a trovare un po’ di luce in fondo al tunnel… o al deserto. Già, perché come accennato qualche riga più su, è quasi sempre lui il protagonista dei dieci brani che compongono “Sahel”. Il nome che dà il titolo all’album, tra l’altro, è anche quello di un territorio (vastissimo) che va dall’Oceano Atlantico al Mar Rosso.
Ritornando alla sfera prettamente musicale, in “Si Chilan” vi è tutto il Bombinouniverso. La traccia numero quattro del disco, infatti, è un (riuscitissimo) mix fra la chitarra elettrica (ed eclettica) dell’artista africano ed una melodia tipicamente mediterranea. La stessa “Darfuq” ha le stimmate dell’instant classic. Basti pensare al (geniale) guitar touch da cui è composta ed all’orecchiabilità del ritornello. Anche i brani più acustici fanno la loro parte. Prendete un pezzo come “Ayo Nigla” e la sua ancestrale malinconia. Si tratta di una track poetica, autunnale, dove la storia di un amore tormentato viene raccontata con estrema delicatezza. Il disco si conclude sulle note di “Mes Amis”, altro brano acustico in cui Bombino sfoggia tutto il suo immaginifico.
“Sahel” segna il ritorno di un artista poliedrico, di un pensatore libero, difficile da incasellare in un dogma, poiché fuori dagli schemi. Non solo. La nuova opera di Bombino riesce in una delle imprese più difficili per un artista. Quella di rendere accessibile l’inaccessibile. E se non si tratta del disco dell’anno, ci va davvero vicino. Molto vicino.