Bruce Soord, ci rammenta, con le sue melodie intime e dolcemente malinconiche, sin dall’iniziale “Dear Life”, quanto sia fragile e preziosa la nostra vita, una vita nella quale, purtroppo, si addensano ombre minacciose e fameliche, ma che, nonostante tutto, non va mai sprecata, sospesa o addirittura gettata via, perché, anche se, molto probabilmente, siamo solamente esili foglie ferite, abbiamo la possibilità di scoprire e meravigliarci, un giorno dopo l’altro, di quanto siano antiche, confortevoli e inebrianti le forze invisibili che pervadano il creato.
Ed è così che ci ritroviamo a galleggiare tra i synth atmosferici di “Lie Flat”, mentre una semplice, vibrante domanda continua ad echeggiare dentro di noi: “is it too late for me?”, è troppo tardi per me?
Forse no, soprattutto se riusciremo a sintonizzarci sulle trame acustiche della chitarra di “Olomuc”, mettendo, almeno per la durata di questo disco, da parte tutte le parole, le interferenze, le cacofonie tecnologiche, mediatiche ed informatiche moderne, quelle che risucchiano il nostro tempo, obbligandoci a seguire un’unica linea, un’unica riga, un’unica idea, un’unica traccia, un’unica scelta ed ignorando tutto quello che, invece, viene ritenuto e giudicato non sufficientemente alla moda. Tutto quello che non riflette a pieno quei concetti di perfezione estetica sui quali si basa la nostra società.
In tal senso il rock progressivo, morbido e melodico, di Bruce Soord assume la consistenza di una strada alternativa e sospesa tra passato e presente, di qualcosa che rompe gli schemi, permettendoci di intuire che, dentro di noi, restiamo sempre gli stessi, con le medesime paure, con le medesime necessità, con la medesima voglia di essere apprezzati, di essere amati e soprattutto di non essere mai abbandonati.
“Luminescence” non fa altro che riportare alla luce questi bisogni sottili, amplificandoli con la musica introspettiva e toccante dell’artista britannico, tentando di riempire giornate che, altrimenti, nonostante il carico di impegni, di appuntamenti e di obblighi, sarebbero spoglie e spronandoci, con “Strandred Here”, a sfidare quella luce morente che tenta di assorbire e nascondere quelli che erano e sono i nostri sogni, quello che noi eravamo, quello che noi potevamo essere e quello che, invece, noi siamo diventati. Ma il giorno è ancora qui, il giorno è ancora lungo, possiamo trasformarlo in qualcos’altro.