Nel corso degli ultimi quarant’anni, probabilmente, pochi artisti hanno fatto discutere come Roger Waters. L’aurea che accompagna l’ex “partner in crime” di David Gilmour, infatti, è quella di un personaggio complesso, controverso, politicamente impegnato (spesso al centro delle polemiche), poco avvezzo alle critiche ed alle luci dei riflettori, se non per lo stretto necessario relativo a quelle che sono le sue opere e le sue rivisitazioni musicali. Come quella effettuata con “The Dark Side Of The Moon Redux”. Già, perché l’ex componente dei Pink Floyd, ha voluto metter mano ad un disco che non ha certo bisogno di presentazioni e che con i suoi cinquant’anni sul groppone – compiuti proprio quest’anno, tra l’altro – è uno dei più iconici della storia della musica. Dopotutto, coraggio, istinto e personalità sono tre caratteristiche che non sono mai mancate al vecchio Roger, sin dai tempi di “The Final Cut”.
“The Dark Side Of The Moon Redux”, in verità, suona più come il capriccio di un uomo maturo che come la vision musicale, ed al passo coi tempi, di un artista che oramai non ha più nulla da dimostrare. Si tratta, infatti, di un disco più “parlato” che suonato, dove alcuni brani, che sono pietre miliari della musica tutta, vengono quasi sacrificati sull’altare di un egocentrismo fine a sé stesso. Prendete la “nuova” “Great Gig In The Sky”, per esempio. Più della magia (quasi esoterica) che nella versione originale del 1973 l’ha resa una canzone immortale, troverete un insieme di sussurri musicati in maniera piuttosto accademica. E cosa dire di “Time”, se non che si tratta di un altro brano (leggendario) relegato a mero (e blando) esercizio di stile?
Ad ogni modo, quest’operazione “Redux” non è tutta da cancellare o da buttare via, ci mancherebbe. Alcune intuizioni, sparse tra una nota e l’altra, non sono poi così male. Basti pensare al (rumoroso) tappeto sonoro che fa da sottofondo allo spoken di Waters in “On The Run”, oppure all’organo delicato di “Any Colour You Like”. Del resto, stiamo pur sempre parlando di un artista geniale, che raramente è sceso a patti o compromessi. Con sé stesso, ma anche con un mondo pieno di intricati sentieri come quello del mainstream musicale.
Ed allora come catalogare questo “The Dark Side Of The Moon Redux”? Beh, come un lavoro onesto. Senza ombra di dubbio. Non solo. Accantonando per un attimo i pregiudizi e gli inevitabili paragoni con il disco originale, potremmo definirlo come l’opera ardita di un veterano delle sette note che ha ancora voglia di sperimentare e di mettersi in gioco. Pur se al netto di qualche sbadiglio e di qualche idea scellerata. Banalmente, “The Dark Side Of The Moon Redux”, più che l’attacco di nostalgia di un lucido ottantenne per i bei tempi che furono, rappresenta una disamina spietata del presente fatta con gli occhi di un due volte quarantenne. Il solito Roger Waters, insomma.