La seconda prova da studio per Tori Zietsch, conosciuta con lo pseudonimo di Maple Glider, giunge a due anni di distanza dal suo incantevole debutto “To Enjoy Is The Only Thing”. Come in un diorama di alcuni avvenimenti della sua vita e delle sensazioni ad essi collegate, la cantautrice australiana si confronta ora più in modo più aperto con i traumi del passato lasciandoli catarticamente emergere sotto forma di canzoni.
Registrato a Melbourne insieme al polistrumentista e produttore Tom Iansek (Big Scary, Paper Kites) e al batterista Jim Rindfleish (Mildlife) “I Get Into Trouble” rappresenta una diretta espansione delle tematiche delineate nel primo album, tra le luci e le ombre di un periodo denso di incertezze orientato verso la riconquista della propria identità. Traccia dopo traccia Maple Glider svela le sfumature fragili e ferree del suo mondo interiore, abbandonando i condizionamenti e i rapporti disfunzionali e lo fa con un songwriting intimo ed onesto ed una spiccata vena di ironia dark che alleggerisce il quadro, affine ad autrici come Julia Jacklin con cui condivide la nazionalità.
Apre l’album “Do You” in cui la splendida voce di Tori si adagia su un delicato fingerpicking di chitarra acustica, esprimendo nella sua languida melodia un profondo senso di solitudine nel tentativo di riconnettersi con qualcuno che rifiuta di accettare come siamo realmente. “Dinah” brano irriverente dalle vivaci sfaccettature pop si ispira al racconto di una donna abusata che viene moralmente colpevolizzata, la cui narrazione funge da esempio – The same thing happened to me when I was only seventeen / Do you think I got what I deserve? –
L’ipnotico groove di “Two Years” impreziosito da tocchi di pianoforte sembra riflettere nei cambi di tempo lo scetticismo verso le proprie sensazioni e la voce appena sussurrata sul lento incedere del beat di “FOMO” evoca un profondo senso di estraniazione -I’ve got a fear of missing out and I have it so severe, I am not myself – fulgidi esempi di come Maple Glider riesca a districarsi tra la finezza melodica e la complessità emotiva dei contenuti.
Proseguendo nel flusso introspettivo “Don’t Kiss Me”, brano che ha acquisito solidità nelle esecuzioni live durante l’anno di lavorazione del disco, lascia emergere in un crescendo il disagio provato per delle attenzioni indesiderate – Sometimes my own body, doesn’t feel like my body / But definitely don’t kiss me – e nel ritornello sembra amplificare un viscerale desiderio di recuperare confidenza con il proprio corpo.
Il punto di svolta emotivo avviene con “You At The Top Of The Driveway” in cui per qualche frazione di secondo anche i silenzi trovano spazio nell’arrangiamento minimale incentrato su voce e chitarra e “You’re Gonna Be A Daddy”. I due brani strettamente collegati tra loro sono stati scritti all’ombra di un gelso ispirandosi alla nascita della nipote, con cui la Zietsch immagina di poter condividere gli istanti di tenerezza vissuti da lei stessa nella natura insieme al fratello durante l’infanzia.
Verso le note finali i toni si rallentano e ammorbidiscono, nella delicata “For You And All The Songs We Loved” il verso costruito su due semplici accordi con le parole – I wish that you could love me the way I keep on trying to / But I know that if it’s hard for me it is probably hard for you – ricorda il concetto fondamentale che l’amore verso un’altra persona passa prima dall’amore verso se stessi. Il brano offre uno sguardo nostalgico e molto realistico sulla semplicità di gesti compiuti per ritrovare un punto di contatto con qualcuno emotivamente distante – So put that song on, the one we love and just press play – Nuovamente un’atmosfera di eterea sospensione viene evocata in “Surprises” come un invito a soffermarsi per riflettere e la conclusiva “Scream” nel suo ritmo lento e cadenzato descrive con note dolci e malinconiche quel desiderio soffocato di urlare e riconnettersi alle persone care, quando le pareti durante i lockdown rappresentavano un confine insormontabile con il mondo circostante.
“I Get Into Trouble” tocca tematiche delicate come traumi familiari e personali, abusi, il distacco da una rigida educazione religiosa e il confronto con i propri fallimenti sentimentali, ma lascia la porta aperta alla speranza, una nuova vita, una nuova visione di se stessi e una ritrovata confidenza.
Il desiderio di trovare la pace allontanandosi da quelle dolorose esperienze è il filo conduttore dell’intero album, la cui colonna portante è senza dubbio la splendida voce dai toni di velluto di Tori Zietsch. La chitarra acustica a cui si aggiunge una strumentazione minimale di pianoforte-basso-batteria e sporadiche percussioni tratteggia un folk dagli arrangiamenti armoniosi, il tutto intessuto di un delicato umorismo dark enfatizzato nei video collegati ai singoli girati insieme a Bridgette Winten. Il suono eclettico e gioioso a tratti si fa erratico in altri, passaggio evidente soprattutto nelle tracce in cui si delineano tonalità psych-folk, e i ritratti di avvenimenti difficili da processare sono dipinti con ironia e disincanto da un’autrice dotata dell’eccellente capacità di cesellare canzoni intrise della bellezza gentile di chi é stato in grado riemergere con rinvigorita forza dalle avversità.