“…e mi trucco perchè la vita mia non mi riconosca e vada via“, è questa la prima frase che ci è venuta in mente alla fine della visione dell’ultima fatica di Luc Besson. C’è un mondo dietro quei trucchi che il protagonista, un Caleb Landry Jones davvero a suo agio, continua a mettere e a togliere davanti allo specchio.
Il trucco può nascondere tutto ma non l’anima di una persona e come dice la tagline del film “ovunque ci sia un infelice, Dio manda un cane”. Luc Besson torna sui suoi personaggi preferiti, reietti dimenticati da tutti e marginalizzati dalla società, che trovano un loro posto nel mondo in una modalità di vita talmente differente dalla consuetudine civile da risultare assolutamente estrema.
Come la trasformazione di Nikita da eroinomane a killer del servizio segreto francese, così anche Douglas attua una metamorfosi che lo porta a vivere da recluso ma con aspirazioni sociali elevate (l’amore per una donna), fino alla difesa degli ultimi vessati dalla gang del quartiere.
La sua unica ricchezza è rappresentata da una quantità canina da far invidia alla carica dei 101, tutta incredibilmente addestrata a realizzare operazioni davvero di livello. E’ in questo contesto che probabilmente Besson sforna un film che potremmo definire anni 90, in quanto la sospensione dell’incredulità diventa la base per poter godere con piena spensieratezza di un film di puro intrattenimento.
Per completezza di informazione sarebbe comunque giusto rimarcare una leggera aspirazione autoriale che traspare da alcune scene, che sembrano però meno volute dal regista e figlie invece di un “danno collaterale” dell’anima “alla Joker di Tod Phillips” che Dogman indubbiamente ha.
Luc Besson è tornato come meglio non poteva, con una storia a lui più congeniale, con la dose di violenza e autorialità che lo ha sempre contraddistinto nel cinema internazionale.