Di concerti intensi ne ho fatti parecchi, di poghi vissuti e combattuti altrettanti. Il coinvolgimento (fisico ed emotivo) di quello che sono stati gli Enter Shikari il 4 novembre all’Alcatraz di Milano, però, è qualcosa che molti artisti possono solo sognare. Ma andiamo con ordine.
Ad aprire ci pensano i Lake Malice, duo inglese ma dal cuore italiano (la cantante stessa, Alice Guala, ha raccontato di essere vercellese). Una grande energia e un sound molto arrabbiato: perfetti per aprire un gruppo come gli Shikari, insomma.
Shikari che si ergono su un palco tutto sommato piccolo, con una voglia immensa di far casino e un’atmosfera piuttosto intima, come un festone tra vecchi amici più che un concerto vero e proprio. Non avevo idea di cosa aspettarmi da un concerto di questi quattro pazzi scatenati, ma ci è voluto davvero poco a creare una serata da paura, che ha proposto sia brani storici del gruppo (vedasi “Arguing With Thermometers”) sia brani dall’ultimissimo disco, “A kiss for the whole world” (di cui potete leggere qui la recensione). Già dalle prime note dell’apripista “(pls) set me on fire” è delirio totale.
Brani eseguiti alla perfezione, Reynolds e il bassista Chris Batten che si buttano più volte volentieri in mezzo al pubblico; un pubblico su cui mi sentirei di aggiungere una parentesi più che positiva, tra l’altro: oltre a intonare cori e pogare insieme, c’è stata una grande cura l’uno dell’altro, come se ogni singolo spettatore ci tenesse a far sì che tutti gli altri si godessero il concerto appieno. Tantissimo crowd surfing (forse un pelo esagerato, ma l’incontenibile entusiasmo di quella serata è più che giustificato), persone che si assicuravano ogni cinque secondi che le persone intorno a loro stessero bene, o tentavano di ripararle da colpi di vario tipo – tra cui un colpo in testa della sottoscritta alla transenna! La transenna più combattuta della mia vita probabilmente, ma lo rifarei mille e mille altre volte ancora.
Era un ritorno tanto atteso quello degli Enter Shikari in Italia – soprattutto dopo la breve (anzi, brevissima) esibizione del gruppo allo Slam Dunk di quest’anno a Rimini; tutti non vedevano l’ora di viversi quest’esperienza, in un’armonia perfetta tra pubblico e artisti. Le preoccupazioni sono rimaste tutte fuori dal locale, non è stata data neanche la minima possibilità che si affacciassero all’entrata dell’Alcatraz: la band è stata di una potenza tale che non lo avrebbe fisicamente permesso. Reynolds, poi, l’ha proprio detto che voleva che questa fosse una data memorabile, e sicuramente è riuscito nel suo intento: e non si tratta solo di buona musica ben eseguita. Questo concerto si è rivelato un cocktail perfetto di presenza scenica, gente che si vuole un sacco bene pur non conoscendosi e momenti altissimi come il cantante che spunta dal nulla in mezzo al pubblico per dare inizio all’encore, introdotto dalle perle “System…” “…Meltdown” – inaspettate, tra l’altro, viste le scalette dei concerti precedenti, ma non poteva che farci decisamente piacere.
Un concerto sì, memorabile, di quelli che ti segnano il cuore – e anche un bel bernoccolo in fronte, nel mio caso, ma ne è valsa la pena. Una serata unica, in cui ci siamo sentiti un po’ tutti dei satelliti in una danza cosmica. Magia pura.