Uno dei personaggi dell’attuale scena black odierna si concede al suo pubblico per la seconda volta dopo ben 6 anni dall’esordio con la sua personale produzione, rafforzando in modo definitivo e a tratti esaltante, l’idea di autore vero dalla forte pesonalità e capacità di introspezione, sfornando un album che fin dal suo titolo, il secondo nome di nascita di Sampha, affronta temi intimi e riflessioni sui valori e sulle sensazioni, tutto sommato in modo pacato e compassato.
L’album si mantiene, al netto dei diversi featurings di rilievo e della risonanza delle produzioni esterne di acclamato livello, su una forma narrativa quasi da flusso di coscienza, soavemente sospesa su un gruppo di canzoni omogenee, che vedono la presenza di pochi breakbeat, molto flow concentrato di soul, r&b, melodie quasi pop, nu jazz, dove si assiste alla maturazione in Sampha del canone electro soul che da decenni ormai imperversa in ambito black, come se l’interpretazione di questi più o meno nuovi paladini, tra cui il nostro, domini sul genere, smussandone gli angoli, intrappolandolo felicemente dentro architetture elettroniche che riescono a far resistere i canoni della black music, conciliandoli con un’impostazione moderna ed accattivante, forse meno verace, ma sempre soulful e di immutato godimento.
A permettere di creare un amalgama ancora più marcato e quasi tangibile, anche in questo “Lahai” contribuisce ovviamente in modo determinante la particolare voce del cantante e produttore britannico, densa dai sapori bucolici e antichi , che attira dentro i parametri della sua originale disciplina le partiture sonore, dove l’impasto melodico costruice la leva grazie alla quale poi si personalizzano e adattano le canzoni, quasi tutte costruite al pianoforte e poi riempite con grazia da inserti dei generi amati da Sampha, che spesso toccano quel post drum’n’bass anni 90 che ricorda i fasti di un periodo che vide per esempio i 4hero tra le band che primeggiavano in questa piacevole escursione del nu soul privato della ripetitività dell’elemento ritmico e sostituito dall’elettronica dolce.
Un album quindi questo “Lahai” che difficilmente annoia, senza troppi alti ma assoluamente di altissimo livello, ottimo per ogni occasione di connessione con se stessi, quasi terapeutico, visto che ad ogni ascolto cresce come il gusto delle cose buone.