Un flusso continuo, la trasformazione irreversibile di un’energia nell’altra e poi un’altra ancora, fino ad arrivare al momento finale del congedo, che, in realtà, non ha nulla a che vedere con la fine, ma è, semplicemente, il fluire verso una forma energetica inconsapevole e, forse, più pura, più innocente, più pacifica.
Parole assurde, incomprensibili, se confrontate con quelle bellicose che ascoltiamo in questi giorni, sul finire di un anno che è stato scandito da allarmi anti-missile, da esplosioni, armi ed ancora armi che, incuranti della storia, continuano a sfidare ogni legge umana o divina, ogni principio matematico, fisico o filosofico, rendendo ogni nostra opera, ogni nostra idea, ogni nostro progetto, per quanto apprezzabile, del tutto inutile rispetto alla perdita blasfema di una vita, di qualsiasi vita.
Questo album dal vivo, nella sua viscerale, sperimentale ed armoniosa consapevolezza di umana fragilità, mette a disagio, ma, allo stesso tempo, è un’isola felice in un mare che conosce solamente tempeste e cadaveri galleggianti tra le onde. Un’isola, però, che nelle trepidanti, psichedeliche, nevrotiche ed introspettive trame di Iosonouncane può diventare sempre più piccola, sempre più stretta, sempre più mortificante, se noi commettiamo l’errore di considerarla solamente il nostro egoistico e personale appiglio sicuro. Perché essa – parte di un tutto, di cui anche noi, minuscoli esseri umani, facciamo altrettanto parte – è perennemente rivolta all’esterno, all’altro, all’altrove, a quel mare che non deve esser portatore di morte, bensì di altri racconti, di altre favole, di altre sensibilità musicali, di altre elettroniche, più o meno folkeggianti, più o meno sperimentali, che testimoniamo narrazioni di uomini e di donne, di culti e di tradizioni, di domande e di bisogni, che, a ben guardare, sono assolutamente in sintonia con il nostro passato, con le nostre musiche, con le nostre diverse rappresentazioni artistiche della verità che diviene mito e del mito che si fa elemento arcano, misterioso, oscuro, sacro.
Ed in fondo questi sono i connotati più appropriati per questi brani; il loro è un respiro di contaminazione e, quindi, di libertà totale, senza che porte o confini, senza che divieti o cancelli, possano, in qualche modo, impedire alla magia di queste trame accattivanti, di queste parole fluide, di queste voci antiche e fuggenti, di questi rumori intrisi di un affascinante ed ammaliante contenuto tecnologico, di unire ciò che gli uomini di potere, e solo gli uomini di potere, pretendono, per i loro porci scopi materiali, di tenere lontano, di tenere distante, di tenere sparpagliato, di tenere diviso, di tenere, in tal modo, sotto il loro unico ed esclusivo controllo.