“I’ve aborted this unsolicited advice”. Con questa frase, dal brano “Social Lubrication”, inizia un concerto delle Dream Wife – come ci avevano anticipato nella nostra intervista. Una frase d’effetto, e poi inizia lo show: un concentrato di energia, divertimento e, perché no, un tocco di follia. Dopo il set di apertura dei Brain Saga (definiti dalle Dream Wife “un po’ simili ai tre topini ciechi, con un’aura mistica”, definizione piuttosto azzeccata) e una riflessione sull’importanza del silenzio, è successo di tutto – tranne il silenzio, appunto. Rakel Mjöll incanta con la sua voce e la sua presenza scenica, su un palco così piccolo che sembra un privilegio poterla vedere così da vicino. Gioca con la band, flirta un po’ con il pubblico, infiamma tutto con un solo sguardo. Impressionante. Alice Go (chitarra) si spoglia, Bella Podpadec (basso) si sfoga tirando calci in aria: è delirio, è magia.
Dall’inizio alla fine danno il massimo di sé, nonostante siano abituate a palchi ben più grandi e un pubblico più numeroso (il Biko è di per sé un locale piccolo, se contiamo che poi la serata non è stata sold out…). La band ha proposto sia hit storiche come “Somebody” e “Hasta La Vista” sia brani dall’ultimo disco “Social Lubrication” – il loro disco preferito, a quanto hanno detto, e forse anche il nostro. Se già pezzi come “Hot (Don’t Date a Musician)”, “Who Do You Wanna Be?” e “Leech” spaccano nella versione in studio, in live mettono ancora più voglia di libertà, di ballare fino allo sfinimento e continuare così tutta la notte.
Non manca una sfida musicale (con tanto di finti calci e spintoni!) tra Alice e Bella, che più che una sfida vera e propria appare come un sincero spaccato della loro amicizia e complicità. Una serata tra amiche più che un concerto fatto per gli spettatori, potremmo dire. Presente anche una meravigliosa cover di “All The Things She Said” delle t.A.T.u. verso fine set, che elettrizza ancora di più un pubblico già in fiamme. Balli in libertà, pubblico totalmente a suo agio, una band così notevole che fa quasi rabbia vederla su un palco così piccolo. Quando abbiamo chiesto alle Dream Wife come volessero essere ricordate, ci hanno detto che vorrebbero che la loro musica, in particolar modo i loro concerti, fossero uno spazio sicuro. Un momento in cui poter essere se stessi ed esprimerlo al meglio senza pensieri, sentirsi delle bad bitches e urlare quanto non siano i nostri corpi a definirci, perché siamo molto più che questo.
C’è bisogno di band come le Dream Wife, c’è bisogno di concerti come i loro più di quanto possiamo immaginare: c’è bisogno di rabbia femminile nella musica, voglia di fare casino, di tirare in calci in aria suonando il basso. Questo debutto della band inglese sui palchi italiani si può definire decisamente positivo, assolutamente – non ci resta che sperare che seguiranno altre date, magari con un pubblico più corposo.