Sesto album per i Non Voglio Che Clara dopo “Superspleen vol.1” che si è aggiudicato il premio Rock Targato Italia come miglior disco di un anno, il 2020, decisamente avaro di soddisfazioni. Fabio de Min, Marcello Batelli, Martino Cuman e Igor de Paoli voltano pagina, cambiano ancora registro, allo spleen questa volta preferiscono i ricordi in quello che considerano uno sguardo alla loro adolescenza, tra riferimenti musicali orgogliosamente esibiti e citati con gusto.
Ecco dunque sfilare un parterre de roi di personaggi noti e sconosciuti a partire da quel “MacKaye” (Ian dei Fugazi) che presta il nome all’intero album e al primo brano. Un’onesta canzone d’amore, minimale e d’atmosfera, che viaggia on the road tra passato e presente. “L’Inventore” invece è narrativa pura, melodica e grintosa nel ritornello, tra “Il Cielo In Una Stanza” e la leggerezza della nuova musica preferisce emozionarsi.
Il primo singolo – “Lucio” scelto da Francesco Sossai per la colonna sonora de “Il Compleanno di Enrico” presentato al Festival di Cannes 2023 cita Battisti raccontando la drastica fine delle illusioni in un conturbante dialogo tra sintetizzatori e chitarre. “L’Identikit” regala momenti e parole da ricordare (“E se parleranno di una sposa / come di un cuore stanco che riposa / mi chiederò se non parlino di te“) in forte contrasto con “Caffè & Ginnastica” che celebra invece la precarietà dei sentimenti, in un tenebroso sovrapporsi di archi e fiati.
Spazio poi a “Il Primo Temporale” scritta nel periodo tra “Dei Cani” e “L’amore fin che dura” ed è una riflessione a cuore aperto sugli approcci mancati, i rapporti fragili che rendono insicuri. Il protagonista di “Pilates” – vademecum sulla vita da single – potrebbe essere il fratello maggiore dell’adolescente di “Miles” (dedica a Robert, compianto musicista, produttore, autore di “Children”) e l’ex della donna evocata in “Le Suore” con i sintetizzatori grandi protagonisti in tutti e tre i brani.
“L’Ultimo Successo” ovvero l’amore prima della spunta blu è un finale sui generis, sorprendentemente torrido e allucinato tra vocoder e chitarre, piano, percussioni e batteria e al bando la nostalgia. Lucido, maturo, hardcore nei sentimenti non certo nei toni, “MacKaye” ha molti padri e nessun padrone. Viaggia libero, sincero e arguto nei testi, negli arrangiamenti sempre vari, nelle armonie e nelle ossessioni d’autore.