Quest’anno il Torino Film Festival arriva alla quarantunesima edizione, l’ultima con Steve della Casa in veste di direttore artistico, e chi vi scrive, in quanto giurato in uno dei premi collaterali, ha dovuto vedersi tutti i 12 films del concorso internazionale, motivo per cui in questo reportage sono affiancato da Beatrice Berton, cinefila incallita che ci farà un resoconto sui film fuori concorso.
Al botteghino nessuno avrebbe scommesso sul film che ha vinto , “La Palisiada”, (Ukraina,2023). Il film girato con uno stile molto personale, giocato tra documentario e funzione, e con attori professionisti e non, racconta dell’omicidio a sangue freddo di un colonnello della polizia e delle relative indagini di uno psichiatra forense e di un investigatore le cui storie umane si intrecciano con la storia del loro paese. La sensazione è che, anche grazie al montaggio, il film sia stato realizzato proprio per spiazzare, per lasciare tante domande irrisolte. Il fatto che provenga dall’Ucraina, ovviamente ha giocato un po’ a suo favore.
Le emozioni più forti sono arrivate sicuramente da “Le Ravissement”, una triste vicenda tutta in salita. Quando nasce la figlia della sua migliore amica, Lydia spaccia per sua la bambina, e anzi comunica a Milos, avventura di una notte avuta nove mesi prima, di essere il padre. Una bugia che, piano piano, finirà per allargarsi a dismisura. Superba interpretazione dei due attori. Premio miglior attrice per Hefsa Herzi ma avrebbe meritato lo stesso premio anche Alexis Manenti. (anche voce narrante).
Arriva dall’Arabia Saudita “Mandoob”: un visual tour di una Riyad lussuriosa, in preda a continui cambiamenti, dove Fahad, il protagonista, si ritrova a fare la doppia vita di addetto alle consegne e di trafficante improvvisato di alcoolici, per aiutare il padre anziano e ammalato. Un noir/thriller che sa miscelare in modo magistrale satira e dramma.
Purtroppo dobbiamo constatare che l’unico film italiano presente, “Non riattaccare”, diretto da Manfredi Lucibello e con Barbara Ronchi e Claudio Santamaria, non riesce a convincere nessuno. Una telefonata lunga novanta minuti, in cui la protagonista deve raggiungere in macchina il suo ex compagno che minaccia di togliersi la vita. Qualcuno dovrà insegnare prima o poi ai registi italiani come si realizza un road movie.
Sicuramente il termine “road movie” anche se molto “slow”, si addice invece a “Grace”, film russo in cui padre e figlia si spostano nei luoghi più estremi per proporre un cinema itinerante.
Il sudcoreano “Birth” malgrado il minutaggio davvero ostico (155″) è un’accurata dissezione femminista del ruolo delle donne che bilanciano maternità, lavoro e creatività nel nostro mondo competitivo.
Film corale di denuncia canadese “Soleils Atikamekw”, si muove agilmente tra documentario e fiction per raccontare la tragedia in cui nel 1977 persero la vita 5 giovani vittime di una comunità locale che abita la zona sud-ovest del Quebec. Riesce a colpire nell’anima senza urlare.
Premio meritatissimo per miglior attore all’argentino Martin Shanly per “Arturo a Los 30″ ; in un continuo andirivieni temporale Arturo riuscirà a mettere ordine alla propria vita solamente con l’arrivo del lockdown. Un film girato in più di 5 anni che all’origine avrebbe dovuto essere diviso in vari episodi.
Colpisce lo spettatore “Kalak” (Svezia/Danimarca) per le continue suggestioni provocatorie; lo spettatore è tenuto in sospeso per tutto il film perché il comportamento del protagonista, infermiere che cerca di integrarsi in Groenlandia, è spiazzante. Anche il genere femminile viene analizzato a 360 gradi. Dalla scena erotica iniziale si intuisce subito che è un film per palati forti ma sicuramente interessante.
La presenza di due films di animazione si può considerare invece come particolarità di questa edizione.
“Linda veut de poulet” si aggiudica meritatamente il premio per la miglior sceneggiatura. Un film commovente, capace di declinare la morte, la memoria e l’elaborazione del lutto in una dimensione fiabesca e mai scontata. Alla regia un duo italo francese Chiara Malta e Sébastien Laudenbach. Da sottolineare che è piaciuto sia alla critica che al pubblico. Dovrebbe essere imminente anche l’uscita nelle sale italiane con il titolo abbreviato in “Linda e il pollo”.
Realizzato con la tecnica elaborata del rotoscoping, “White plastic sky” è forse film per palati fini . 2123: siamo in un mondo in cui gli esseri umani sono stati incoraggiati a considerare la proprietà del proprio corpo come un contratto di affitto temporaneo senza possibilità di acquisto, e naturalmente queste persone si sentono in qualche modo astratte dalla realtà della loro carne e delle loro ossa. Ma questo significa anche che quando si tratta di caratterizzare i personaggi o di provare davvero un sentimento per la loro situazione, il film rimane troppo freddo e per certi versi, incompiuto.
Ovviamente, all’interno della rassegna non poteva mancare anche una nutrita sezione composta da cortometraggi e documentari. Da segnalare un documentario di Andrea Zambelli, che in 100 minuti racchiude la storiografia della vita del Bocia, il capo ultrà della curva nord dell’Atalanta.
Retrospettiva completa dedicata a Sergio Citti. Rassegna “Mezzogiorno di fuoco” dedicata a John Wayne.
Passiamo ai film fuori concorso:
In questa 41esima edizione del TFF, ho apprezzato la quantità importante di film in lingua francese e anche quelli argentini. In particolare, il film di apertura “Une année difficile” di Olivier Nakache e Éric Toledano, una commedia attuale ed intelligente che contrappone i temi del sovraindebitamento e i movimenti radicali degli ecologisti. Nella sezione “Crazies” ho adorato il secondo lungometraggio di Thomas Cailley “Le Règne Animal” che immagina una misteriosa mutazione che tocca alcuni umani diventando nuove specie animali. È un film bellissimo pieno di significati : il rapporto padre/figlio, la fine dell’adolescenza e il corpo che cambia, l’accettazione e la coabitazione con chi è diverso, il futuro del nostro pianeta.
Sempre nella sezione “Crazies” un film tra commedia e horror “Vincent doit mourir” : tratta di un fenomeno inspiegabile che scatena la voglia di uccidere. Una metafora della nostra società sempre più paranoica e violenta.
Fuori concorso, ho amato anche “Solo” di Sophie Dupuis, un film canadese molto delicato, ambientato nel mondo della scena drag di Montréal e che denuncia le relazioni tossiche.
Fantastico anche “Dance First” fuori concorso con Gabriel Byrne che racconta la sorprendente amicizia tra Samuel Beckett e James Joyce.
E altri tre film americani : “You hurt my feelings” sulla questione delle piccole bugie a fin di bene all’interno della coppia che mi ha ricordato i migliori film di Woody Allen, “The Holdhovers” di Alexander Payne ambientato negli anni 70 in un collegio durante le feste natalizie e “Ex-husbands” una storia famigliare tragicomica, toccante ed universale.
E per concludere, nei vari film argentini di questa edizione, mi ha colpita “Puan”, una commedia con uno sfondo politico e sociale che ha, come protagonista principale, un professore universitario di filosofia, un vero anti-eroe.
A cura di Filippo Michelini e Beatrice Berton