Ci sono volte nelle quali le opere prime risultano sempre problematiche. Quando gli attori di tutta una vita decidono di mettersi dietro la macchina da presa, il risultato sarà sempre incerto. Tra tutti, però, Paola Cortellesi si è distinta così meravigliosamente bene da regalarci un capolavoro della cinematografia italiana.
“C’è ancora domani”, e vorremmo tanto che ce ne fosse ancora uno dopo l’altro se fossero tutti belli e perfetti come il primo (e nuovo) film dell’attrice pluripremiata Paola Cortellesi. Un’opera magna, potremmo dire, che l’ha catapultata nell’olimpo del nostro cinema non più solo come grande attrice, ma ora anche come superba regista.
Ci ritroviamo nella Roma del secondo dopoguerra. Gli americani sono ben presenti nella capitale. La popolazione ci convive e cerca di ritrovare quella quotidianità che si era persa a causa del conflitto. Una famiglia popolare composta da Delia (Paola Cortellesi), Ivano (Valerio Mastandrea) e la loro figlia Marcella (Romana Vergano) cercano in tutti i modi di non affondare. La crisi si fa sentire, le entrate economiche sono scarse e la possibilità di lavoro è sempre in bilico su un filo di rasoio. Il rapporto coniugale di Delia e Ivano è ha un colore nero, forse lo è sempre stato dato che quest’ultimo ricopre il ruolo dell’uomo maschio di tanti anni fa (anzi, anche di adesso). Una figura che controlla la moglie, la maltratta, le toglie tutte le libertà che una persona umana che sia uomo o donna possa avere. Delia cerca in tutti i modi di sopravvivere, a volte riponendo tutte le speranze nella figlia e nel futuro matrimonio con il facoltoso Giulio (Francesco Centorame). L’atmosfera è sempre tesa in casa, lo è anche fuori finché non compare qua e là una deliziosa amica di una vita ovvero Marisa (Emanuela Fanelli).
Il lungometraggio viene presentato in bianco e nero, una scelta stilistica e registica che sa tanto del cinema neorealista della prima metà del novecento. Proprio questa scelta di colore va a caratterizzare meglio le atmosfere, quelle popolari e quelle casalinghe caricando lo spettatore di diversi stati emotivi. La scelta musicale, inoltre, come per esempio Lucio Dalla, è ben studiata, affinché possa raccontare, in musica, quello che la regista vuole trasmettere. Le riprese, semplici ma di grande effetto, ci regalano una Cortellesi inedita non solo sul piano recitativo ma appunto su quello registico.
In un’intervista Valerio Mastandrea confessò che dopo aver letto la sceneggiatura rispose alla fedele compagna d’arte di una vita di non farcela a recitare il personaggio di Ivano. Ma ci avrebbe provato lo stesso, per lei e per la sua opera prima. Il suo amore e la sua dedizione per questo film lo si percepisce tutto. Come si percepisce la bravura della Fanelli o di tutte le attrici che fanno da coro alla protagonista.
Questo film è capace di farti ridere, ma, nello stesso tempo, ti lacera l’anima. Per la sua bellezza e per la sua semplicità, per il suo messaggio forte e rumoroso e per la delicatezza del racconto stesso. Il finale, poi, presenta una grandissima ed inaspettata sorpresa.
Battisti diceva ne “La Collina Dei Ciliegi”: ci allontaniamo e poi ci ritroviamo più vicini. In un 2023 costellato di merda, di soprusi e di passi indietro in tematiche sociali di estrema importanza, ecco che arriva Paola Cortellesi a farci sentire più vicini. A lanciare un messaggio importantissimo, che, in un modo o nell’altro, possiamo farcela. Per questo capolavoro, cara Paola, ti ringraziamo dal profondo del cuore.