10. ALGIERS
Shook
[ Matador ]
La nostra recensione

Gli Algiers si confermano un nome da tenere assolutamente in considerazione, sfoderando nel nuovo “Shook” grande forza e compattezza, ma soprattutto una rinnovata ispirazione nel fondere istanze e stili diversi, senza mai perdere di vista l’efficacia del messaggio. Che sia mediante un sound elettronico, o più tendente al soul e al rock alternativo, con la matrice rap sempre attuale, il marchio di Franklin James Fisher e compagni è ormai del tutto riconoscibile.

9. BOMBINO
Sahel
[ Partisan Records ]
La nostra recensione

“Sahel” rappresenta il grande ritorno sulle scene di Bombino, a distanza di cinque anni dall’ultima volta. In questo album l’artista Tuareg manifesta a chiare lettere il suo pensiero, connotando ogni aspetto di quell’aura desertica da cui proprio non può prescindere. Pur in un riuscitissimo e coinvolgente mix di suoni e atmosfere, è al solito la sua straordinaria chitarra a emergere chiara nei dieci brani, tra cui va citato almeno “Tazidert” che apre le danze con un ritmo ipnotico e incalzante.

8. BOYGENIUS
The Record
[ Interscope ]
La nostra recensione

Julien Baker, Phoebe Bridgers e Lucy Dacus, le tre magnifiche ragazze dell’indie a stelle strisce, con “The Record” hanno dimostrato, se mai ce ne fosse davvero bisogno, che come Boygenius fanno sul serio. Se ai tempi del loro emozionante esordio, infatti, il progetto poteva sembrare estemporaneo, frutto della loro sincera amicizia, dopo cinque anni ormai pare chiaro che, unendosi, sono in grado di ricreare quella magia per cui riescono a riflettere in tutto il loro talento individuale, mettendosi le une al servizio delle altre.

7. THE CLIENTELE
I Am Not There Anymore
[ Merge Records ]
La nostra recensione

Che sia proprio questo il miglior album in assoluto dei Clientele? Vero è che il gruppo di Alasdair MacLean nel corso di un’ormai trentennale carriera hanno disseminato perle pop di gran livello, e che tra gli appassionati il precedente “Music for the Age of Miracles” gode di un forte credito, eppure “I Am Not There Anymore” a mio avviso rappresenta un ulteriore passo in avanti dal punto di vista qualitativo, grazie a una cura maniacale degli arrangiamenti, che non va però mai a intaccare la purezza delle melodie. Sono canzoni che, in definitiva, elevano il pop ai suoi piani più alti.

6. NATION OF LANGUAGE
Strange Disciple
[ Play It Again Sam ]
La nostra recensione

“Strange Disciple”, terzo disco in quattro anni per i Nation of Language, è uno di quei lavori in grado di entrarti sottopelle insinuandosi pian piano, fino a catturarti grazie a canzoni dotate di irresistibile fascino. Il trio di Brooklyn capitanato da Ian Richard Devaney, che i detrattori potranno facilmente bollare come passatista o derivativo, a mio modo di vedere invece riesce nell’impresa di ricreare fedelmente un immaginario legato agli anni ’80, facendolo sembrare attuale, grazie a brani intensi, vivi, pulsanti, in un’atmosfera ora briosa ora decadente.

5. BAR ITALIA
Tracey Denim
[ Matador ]
La nostra recensione

Il 2023 si può considerare a tutti gli effetti l’anno chiave per i bar italia, che hanno dato alle stampe addirittura due full-lenght a testimoniare un autentico stato di grazia dal punto di vista artistico. Pur avendo il più recente “The Twits” confermato la bontà della loro proposta, non discostandosi dal sound del precedente “Tracey Denim”, è con quest’ultimo, pubblicato nel mese di maggio, che i tre londinesi mi hanno conquistato. Forte di quindici brani dalla struttura apparentemente semplice ma capaci di prendere direzioni diverse ancorché sorprendenti, il disco fa emergere il gruppo in tutta la sua personalità, al di là della “comoda” etichetta post-punk.

4. GAZ COOMBES
Turn the Car Around
[ Hot Fruit Recordings / Virgin Music ]
La nostra recensione

“Turn the Car Around”, ultima fatica in ordine di tempo di Gaz Coombes, era uscito il 13 gennaio, eppure già presupponevo che sarebbe finito molto in alto nel mio personale consuntivo della stagione musicale del 2023. I nove brani che lo compongono infatti brillano di luce propria, nobilitando il concetto di pop “adulto” (se mi passate il termine), e impongono il quarantasettenne di Oxford tra i migliori cantautori della sua generazione, ormai del tutto smarcato dalla pur pregevole esperienza alla guida dei Supergrass.

3. THE MURDER CAPITAL
Gigi’s Recovery
[ Rough Trade ]
La nostra recensione

So che può sembrare estremamente sciocco, ma ho fatto fatica ad ammettere quanto amassi questo disco degli irlandesi Murder Capital. Non avevo niente di personale contro di loro, però sapete a volte ci si lascia abbagliare dalle prime impressioni e, nella fattispecie, non mi era piaciuto il loro disco d’esordio, non ero riuscito a entrarci dentro. Così ero partito piuttosto diffidente nei confronti di “Gigi’s Recovery”, anche perché non riuscivo a presagire chissà quali sbocchi per la band di James McGovern. Invece è accaduto il contrario ed è venuto tutto da se’, cosicché nel modo più naturale possibile queste canzoni mi hanno letteralmente rapito, stordito e convinto dell’immenso valore del progetto. Dirò di più, sono quasi sicuro che sia proprio questo l’album che ho ascoltato di più nel 2023.

2. SIGUR RÓS
Átta
[ Von Dur Limited/BMG ]
La nostra recensione

Sul secondo gradino del podio, in lizza fino all’ultimo per aggiudicarsi il platonico titolo di mio album dell’anno, compare “Átta” degli islandesi Sigur Rós e, a prescindere che la band di Jónsi Birgisson mi sia sempre piaciuta, non era poi così scontato visto che, prima di una lunga pausa discografica durata dieci anni, non è che avessero lasciato ai posteri un album degno dei loro migliori momenti (mi riferisco a “Kveikur” del 2013). Invece sono bastate poche note per capire che la magia, quella più pura, autentica, che seppero trasmettere in larga profusione in passato, era rimasta intatta! Questo nuovo episodio, che vede il ritorno in organico (decisivo, secondo me) di Kjartan Sveinsson ti trasporta letteralmente altrove, ti avvolge, ti culla e ti protegge, lasciando un grande senso di pace interiore.

1. PJ HARVEY
I Inside the Old Year Dying
[ Partisan Records ]
La nostra recensione

A un’artista sublime come PJ Harvey puoi concedere di prendersi tutto il tempo che vuole per dare alle stampe un nuovo capitolo della sua storia musicale, perchè sei consapevole che poi l’attesa verrà assolutamente ripagata. E che, nonostante abbia già pubblicato in passato alcuni dischi che ti porteresti nell’ipotetica isola deserta (titoli come “Let England Shake” o “To Bring You My Love”) sai benissimo che sarà in grado ancora una volta di stupirti ed emozionarti, fino anche a farti commuovere. “I Inside the Old Year Dying” è l’ennesima grande raccolta di canzoni che sanno toccare le corde più profonde dell’anima.