10. DEPECHE MODE
Memento Mori
[ Columbia Records ]
La nostra recensione
I Depeche Mode vogliono essere al di là di ogni pessimismo, al di là di ogni nocivo e micidiale processo di auto-commiserazione, un processo che porterebbe la loro musica all’epilogo mortale e definitivo. Essa, invece, deve estendersi all’infinito, irrompere nello spazio-tempo e irradiare la propria luminosa energia, come già è accaduto e come accadrà ogni qual volta un ubriaco, un matto, un genio, un David Bowie, un Syd Barrett o un Lou Reed ci mostrerà la storia che esiste in un’altra storia; ci mostrerà come giocare, fino in fondo, partite che sappiamo essere truccate, fregandosene delle mani che stringono i loro coltelli taglienti o di quelle che vorrebbero porgere le loro ipocrite scuse, i loro subdoli saluti o le loro finte carezze.
9. BAR ITALIA
Tracey Denim
[ Matador Records ]
La nostra recensione
Una dolcezza che sotto, sotto nasconde un messaggio aspro, ruvido, maniacale ed incombente, mentre, intanto, dentro di noi, prendono forma i contorni di un mondo alternativo fatto di bagliori improvvisi, di ritmiche vivaci, di parole insofferenti, di notti che se ne fottono della nostra diurna e quotidiana dose di finzioni, di falsità, di inutile perfezionismo e di estenuante corsa verso quel baratro di obiettivi falliti, di acquisti inutili, di frasi di circostanza, di invidie taciute e di luoghi comuni che, alla fine, si trasformerà nel nostro cimitero.
8. BLONDE REDHEAD
Sit Down For Dinner
[ Section 1 ]
La nostra recensione
Una pandemia, una guerra, una crisi economica, un disastro ambientale e la vita – quella che tu hai sempre conosciuto, con i suoi ritmi fissi, con i suoi rassicuranti appuntamenti, con i suoi impegni, le sue assurdità, le sue gioie e le sue delusioni – cambia completamente; e quella frase apparentemente banale e ripetitiva, “sit down for dinner” – quella frase che da il titolo all’album e a due dei suoi brani – inizia a risuonare, condannandoci e torturandoci, nelle nostre menti incredule, dolce ricordo, ma anche insistente minaccia. Queste considerazioni plasmano le sue undici tracce del disco, offrono un’altra prospettiva del nostro mondo, delle nostre città, dei nostri caotici spazi urbani, mentre, a New York ed altrove, un’ombra, gelida e spietata, si insinua nelle stagioni che dovrebbero ricondurci verso una sospirata, agognata e ritrovata normalità.
7. SLOWDIVE
Everything Is Alive
[ Dead Oceans ]
La nostra recensione
Le atmosfere del disco sono più dense, più cupe, più aggressive, è come se un’ombra maligna continuasse a interferire, con le sue invettive, i suoi lamenti, i suoi oscuri presagi, i suoi taglienti ronzii, in sottofondo, attraverso tutte e otto le canzoni dell’album, per metterci in guardia, tutti, band e ascoltatori. I tempi sono andati avanti, eminenze oscure si sono impadronite dei nostri antichi giochi, dei nostri sentimenti, persino della stessa luce del sole, ma da qualche parte, in stanze remote delle nostre anime inquiete, c’è una candela accesa che diffonde nel buio le distorsioni delle chitarre, le trame lisergiche dei synth, le energiche vibrazioni dei bassi, mentre una voce ci invita a risorgere dalle tenebre, ad uscire dall’isolamento quotidiano, a fuggire dal controllo di quegli algoritmi che monitorano e influenzano ogni nostra decisione, ogni nostro pensiero e ogni nostra azione.
6. EMIDIO CLEMENTI & CORRADO NUCCINI
Motel Chronicles
[ 42 Records ]
La nostra recensione
Silenziose stanze d’albergo, canali televisivi abitati solamente da tele-predicatori paranoici, ostinati ed antichi pregiudizi razziali, uomini d’affari senza scrupoli, finti eroi che esibiscono le loro bottiglie di bourbon, sovvertivi e rivoluzionari echi jazzistici, notti fatte di proiettili e di sirene, immense distese d’asfalto, apparentemente immobili e tranquille, ma, in realtà, causa paradossale di morte per creature inconsapevoli ed innocenti, dodici episodi musicali intrisi di elementi elettronici, di trame lunatiche, di atmosfere post-rock che oscillano tra il presente e il passato, tra ricordi reali e quelle che, invece, sono soltanto delle assurde e maniacali fantasie, percorrendo, nel frattempo, senza alcuna pretesa, né di salvezza, né di redenzione, le strade dell’America più viscerale, più torbida, più autentica, più vera.
5. DANIELA PES
Spira
[ Tanca Records ]
La nostra recensione
“Spira”, quindi, riduce le parole a sillabe sonore, ne amplifica a dismisura il contenuto sensibile, facendo sì che la voce diventi un vero e proprio strumento aggiunto, intrecciandosi – in maniera assolutamente accattivante, melodica e suggestiva – a queste trame sintetiche, ambient, misteriose ed elettroniche. Sette brani, animati da uno spirito folkeggiante magnetico, avanguardista, sperimentale e arcaico che oscillano, in modo fluido, tra passato e futuro. Veniamo avvolti, infatti, dal misticismo religioso di un passato scandito da riti, inni e preghiere che affondano le loro radici nei ritmi e nei cicli stagionali della Terra e, allo stesso tempo, veniamo sospinti in un mondo sofisticato, innovativo e altamente tecnologico nel quale creature artificiali reclamano il proprio diritto alla vita, al pensiero e a quell’insieme di percezioni fisiche che, da sempre, accompagnano le nostre scelte, i nostri comportamenti e le nostre relazioni sociali e affettive.
4. SPARKLEHORSE
Bird Machine
[ Anti Records ]
La nostra recensione
C’è un equilibrio magico di parole e di musica in questo disco; un equilibrio che è consapevolezza del proprio dolore, delle proprie debolezze e della fragilità umana, ma che è anche consapevolezza della bellezza del mondo circostante, della purezza delle sue leggi misteriose e dell’inevitabilità dei suoi cicli di morte e di rinascita. Un mondo che sentiamo presente anche dentro di noi e che, con la sua silenziosa potenza, ci annichilisce, ci turba, ci spiazza e ci spezza il respiro, spingendo coloro che, come Mark Linkous, sono dotati di una sensibilità, di una fantasia e di una creatività superiore, a trasformare ogni dubbio in un nuovo suono, ogni pensiero in una nuova nota, ogni fantasma in una nuova, estrema, stupenda, terribile canzone. Ma quanti fantasmi potremo esorcizzare? Quante canzoni scopriremo scavando nelle nostre sofferenze?
3. PJ HARVEY
I Inside The Old Year Dying
[ Partisan Records ]
La nostra recensione
Tornare è anche avere, finalmente, ritrovato la propria immaginazione, avere avuto il tempo di maturare nuove prospettive, lasciando che noise-rock, atmosfere ipnotiche folkeggianti e divagazioni elettroniche le permettessero di esprimere, ancora una volta, la propria identità, così che la sua poesia musicale risultasse sia cruda e realista, che ultraterrena e fantasiosa. Ed ecco, allora, che, dinanzi ai nostri occhi, prendono forma le sue parole, antichi guerrieri, eroi vagabondi, luoghi immaginari ed intrisi d’amore, mentre una nebbia sottile, che il vento muove con romantica leggerezza, permette ai suoi e ai nostri sentimenti inconfessati di mescolarsi con le trame sonore. Nel frattempo le mani sapienti di John Parish e Flood riempiono il vuoto di vita: di piccoli e significativi rumori, di presenza umana, di fragili accordi, di sottili variazioni tonali, di passaggi stridenti, di voci naturali, di melodie cariche di speranzoso trip-hop che spazzano via la ruggine, che in questi ultimi anni di guerra e di malattia, si è accumulata su ogni forma di relazione sociale…
2. BLUR
The Ballad Of Darren
[ Parlophone Records ]
La nostra recensione
Le connessioni sono ovunque, eppure il mondo non è mai sembrato così disunito, mentre, intanto, tutto quello che ci dicono, tutto quello che ascoltiamo, tutto quello che ci propongono – a livello politico, sociale, economico, filosofico, culturale, artistico o musicale – appare solamente l’ennesimo deja-vu; un deja-vu, intriso di populismo ed arroganza, che, anche nel nostro piccolo, nella nostra quotidianità, ci spinge ed esorta a giudicare gli altri, a criticarli, a costringerli a rientrare in quei canoni di correttezza che abbiamo globalmente abbracciato, senza, in fondo, farci alcuna domanda. Ma la cosa triste è che sotto, sotto tutto questo ci piace; ci piace costruirci i nostri scanni virtuali di santità e metterci lì a minare l’esistenza dei nostri partner, dei nostri amici, dei nostri familiari, dei nostri colleghi o dei semplici sconosciuti che incontriamo per strada, di inutili paure, di rimorsi esagerati, di frasi cattive, di parole sferzanti.
1. THE MURDER CAPITAL
Gigi’s Recovery
[ Rough Trade ]
La nostra recensione
Nulla è, ormai, gratuito, quel filo invisibile che lega “Existence” ad “Exist” – l’inizio e la fine, la notte e il giorno, l’inverno e l’estate, la sofferenza e la gioa – per poi riportarci, puntualmente, all’inizio dell’uroboro, rappresenta la nostra stessa vita, con tutte le sue ossessioni virtuali, le sue conquiste tecnologiche, i suoi paradisi artificiali, i suoi inferni emotivi, le sue terribili e claustrofobiche spirali di competizione. L’importante, però, è tornare con la consapevolezza di aver acquisito quelle conoscenze e quelle sensibilità tali da consentire alle nostre fragilità umane, alle nostre debolezze e ai nostri difetti di trasformarsi in una minuscola luce capace di illuminare il nostro cammino e quello di coloro che ci sono accanto, distogliendoci dalle false apparenze, dalle verità di parte, dalle estetiche di consumo, dalle manipolazioni digitali. Questo disco è il tentativo di cinque persone, ma anche di tutti noi, di riallenarci con la poesia, con la natura, con la verità, con i nostri sentimenti, con tutto ciò che ci consente di sopravvivere, confortare ed essere confortati.