Dopo oltre dieci anni dalla sua dipartita dai Midlake, ritorna a farsi sentire Tim Smith, che della band indie-folk texana è stato a lungo il frontman nonché il principale songwriter: il suo nuovo progetto si chiama Harp e al suo fianco vede sua moglie Kathi Zung.
Registrato per la maggior parte nella sua casa di Durham, North Carolina il disco, pubblicato da Bella Union. vede la partecipazione anche dell’ex Midlake Paul Alexander (basso) e di Max Kinghorn-Mills degli Hollow Hand alla chitarra, mentre Scott Solter si è occupato del mixing.
Smith dice del suo primo LP con questo moniker:
Si tratta di canzoni sulla condizione umana, dall’amore – sia perduto che ritrovato – alla fede, dall’ansia alla gioia, dalla paura all’accettazione.
Ovviamente, come recita il titolo, influenzato dalla musica proveniente dal Regno Unito, Tim cita molte band degli anni ’80 tra quelle che lo hanno ispirato, dai Joy Division ai Cocteau Twins, passando per i Cure, che lo statunitense ammette di aver ascoltato tantissimo negli ultimi anni.
Il principale singolo “I Am The Seed” ci introduce al suo mondo folk dai toni malinconici e dalle tinte cupe, ma allo stesso tempo è impossibile non notare gli splendidi e cristallini arpeggi, che procedono a ritmo gentile, che paiono uscire proprio da un album dei Cure.
La leggerezza dolce-amara di “Daughters Of Albion” (che prende ispirazione dalla poesia “Visions Of The Daughters Of Albion” di William Blake) è accompagnata da piacevoli arrangiamenti, da tocchi jangly e soprattutto da un incredibile senso di poesia che si puo’ notare nei vocals di Smith.
Poi c’è “Throne Of Amber”, un brano che non sfigurerebbe in un album dei Radiohead (o anche degli Other Lives) per quelle sue bellissime atmosfere dalle sensazioni cinematografiche e toccanti e che, allo stesso tempo, propone anche deliziosi e scintillanti arpeggi.
L’emotivià di “Shining Spires”, invece, la rende una delle canzoni più toccanti tra le dodici che compongono “Albion”: se inizialmente puo’ sembrare semplice, poi si arricchisce con l’aggiunta di ulteriori strumenti e arrangiamenti, scaldando il cuore come solo pochi pezzi sanno fare.
Interessante anche la conclusiva “Herstmonceux”, che prende il nome da una città del Sussex: i suoi iniziali cori dai toni medioevali e i suoi synth eleganti, ci fanno volare e sembrano voler trasportare l’ascoltatore verso mondi lontani e magici.
Trovando la bellezza folk dei Midlake e unendola con uno strato di poesia a influenze ’80s, Smith ha creato, attraverso questo suo nuovo progetto, un album ricco di bellezza e di atmosfere magiche e ricche di emozioni.