Mentre ancora le nostre orecchie fischiano per i botti di capodanno, gli SPRINTS pubblicano il loro primo album “Letter to Self” che segue i due precedenti EP “A Modern Job” e “Manifesto”.
Ma se i fuochi della tradizione vogliono tener lontano spiriti maligni e demoni malvagi, “Letter to Self” sembra volere invece attirare anime irrequiete che trovano nell’energia espressa dalla band e da quel tono drammatico e teatrale della frontwoman Karla Chubb, le emozioni che nutrono il loro malessere.
Sono di Dublino e sembrano avere le carte in regola per agganciarsi alla scia dei già famosi concittadini Fontaines D.C. e Murder Capital che negli ultimi anni hanno attirato le attenzioni e le simpatie di chi ama quello che viene vagamente definito post punk o alt-rok, dove il suono delle chitarre è ancora protagonista.
L’album è stato prodotto da Daniel Fox, bassista e fondatore con Dara Kiely dei Gilla Band, altra band seminale di Dublino.
Indiscussa quindi la capacità di Fox nel curare un certo tipo di suoni, rendendoli disagevoli, deprimenti, sconfortanti. “Shadow Of A Doubt”, uno dei singoli scelti dalla band, rappresenta il momento più doloroso dell’album. La voce implorante e piangente sfocia nell’urlo terrificante ‘Cause I Am. Nel brano viene mantenuta la registrazione del cantato dove la Chubb è costretta a iperventilare e riprendere fiato tra un pianto e l’altro. Questa scelta rende il brano di una drammaticità sincera e palpabile. Sembra che Fox si sia commosso durante le registrazioni e il brano, se ascoltato in un particolare stato d’animo, è davvero toccante e commovente.
I brani degli SPRINTS giocano sul contrasto lento-accelerazione nei ritmi e dolce-drammatico-urlato della voce, caratteristiche che possiamo riscontrare nei Pixies, nei Fugazi e nella prima PJ Harvey, band e artisti che hanno influenzato la band irlandese nella loro scrittura mentre similitudini con Savages e Porridge Radio sono facilmente riscontrabili.
L’apporto del chitarrista Colm O’Reilly è pregevole, la sua interpretazione dei pezzi, sia nelle velocizzazioni che nei riff melodici personalizzano i brani. Non sottovalutiamo la parte ritmica con il bassista Sam McCann, preciso e fantasioso e lo stile del batterista Jack Callan che sembra stia suonando in una balera romagnola, sempre accurato, impeccabile, senza esprimere la minima fatica!
Il ritornello di “Heavy” “And I’m watching the world go around the window beside me” si può già ascoltare cantato dai ragazzini nelle vie della periferia di Dublino.
I testi riflettono le esperienze personali della Chubb, che in “Up And Comer” esamina le paure e le insicurezze nell’essere leader di una band, suonare uno strumento in un mondo ancora maschilista.
L’esperienza musicale si traduce nel tentativo di affrontare le ombre e le paure del passato, una sorta di purificazione che porta ad una visione positiva della vita attraverso un’esplosione rabbiosa ma liberatrice. La drammatica “Cathedral” ci rende partecipi delle ansie di una donna queer cresciuta in un ambiente cattolico mentre “Adore Adore Adore” è un altro brano dal ritornello che ti rimane in circolo come un potente antibiotico.
Sembra che questo disco sia destinato ad un grande successo, lo si capisce dalle lusinghiere recensioni e dal numero impressionante di streaming.
Gli SPRINTS trasmettono un messaggio positivo, le loro canzoni sono inni alla speranza e sono terribilmente “vere”.