Ogni volta che scopro un cantautore, per me non può essere che “gioia”. Se poi il cantautore appena scoperto ha la penna affilata e chirurgica di Paduano, allora parlarne diventà più che una necessità un dovere etico e morale: “Oltre”, il nuovo EP del cantautore campano, è una perla che merita di essere scoperta e amata.
Che bello averti qui con noi, Paduano, e poter parlare insieme di “Oltre”, un EP evocativo e capace di stimolare domande nell’ascoltatore senza la presunzione di poter (o dover) offrire risposte semplici a questioni spesso esistenziali. Ti sembra una buona definizione per il tuo disco?
Ciao, grazie a voi. Sì, sono assolutamente d’accordo. “Oltre” è un EP che non ha l’ambizione di dare delle risposte o delle soluzioni, ma bensì pone delle domande, soprattutto individuali, e cerca di aiutare a leggere se stessi. Sono molto felice che sia stata recepita questa sensazione che ho voluto trasmettere.
Proviamo a tracciare il percorso fatto da Paduano fin qui: terresti tutto com’è stato? Oppure cambieresti qualche scelta, qualche decisione che hai preso in questi anni di gavetta e ricerca?
E’ una domanda a cui è molto difficile dare una risposta. Probabilmente alcune scelte fatte all’inizio per come sono ora , le cambierei. Alcuni brani registrati forse non erano ancora “maturi” da poter essere resi pubblici, avrei dovuto trarre più la quadra. Pero’ d’altronde ritengo che ognuno di noi è il risultato dei passi che compie, e quindi quei passi, anche sbagliati, mi hanno fatto crescere.
Andiamo per ordine. Da dove nasce, “Oltre”“Oltre” nasce dal periodo immediatamente successivo all’uscita del primo disco “Apolide”. In quel momento ho voluto cambiare la direzione musicale e artistica che avevo preso fino a quel momento. Non che quella precedente non mi fosse piaciuta, ma volevo vedermi anche con vesti diverse, per crescere e arricchirmi personalmente. Ho iniziato a cambiare modo di scrivere canzoni, cercando di dare più spazio e più ambiente ad elementi elettronici e avvolgessero l’ascoltatore.
Ci racconti con chi hai lavorato alla produzione del disco?
Grande merito del cambiamento raccontato precedentemente va dato a Michele De Finis, Caterina Bianco ed Antonio Dafe. La loro esperienza nell’ambito musicale , ma soprattutto in questo particolare genere sonoro, mi ha aiutato ad avvicinarmi il più possibile a quello che avevo in mente. Con Michele, alla produzione artistica ,è stato quasi un lavoro di destrutturazione, abbattere i principi tradizionali di come si crea la musica. Ringrazio Dafe per la sua bravura nel missaggio e nel sound design e a Caterina per la sua inventiva, la sua musicalità e la capacità di suonare qualsiasi cosa.
Le tracce sembrano quasi seguire un ordine emotivo, che dal particolare arriva al generale, o meglio dall’individuale al collettivo. C’è una sorta di “respiro generazionale” che attraverso tutto il disco, raccontando dolori e piaceri che sembrano essere condivisi, collettivi. Ti senti, in questo momento, parte di qualcosa? Di una generazione, di un movimento, di un cambiamento in corso?
Più passano gli anni più credo sia un problema, per chi scrive canzoni, essere sempre innovativo e contemporaneo. Mi sento parte di una generazione che prova a legare le pietre miliari del cantautorato e della musica italiana con le nuove sonorità. Non è facile, ma ci sono validissimi artisti che nell’arco degli anni ci sono riusciti. Parte di questa generazione e di questo movimento cerca di portare l’attenzione su temi importanti per la collettività non perdendo di vista, ed orecchio , un nuovo modo di fare musica.
L’arrangiamento del disco mette in luce un dialogo tra musica e testo nella direzione dell’amplificazione e nel raddoppiamento dei significati, in una sorta di vero e proprio prisma di rifrazione che offre uno spaccato ben preciso dell’attenzione che hai dedicato alla composizione del disco. Penso, ad esempio, a “Tutti i discorsi” o “Pareti Bianche”, ma il discorso potrebbe essere esteso ad ogni brano… Ti senti più compositore, o più autore? E che rapporto devono avere, secondo te, testo e musica?
Al momento mi sento più autore, sto studiando per entrare più nel profondo nel mondo della composizione. In questo EP ho voluto dare più importanza alla musica rispetto a quanto avessi fatto prima. Una buona parte compositiva e strumentale può’ essere un ottimo vestito per un buon testo, che ne fa risaltare le parole e fa immergere l’ascoltatore nel brano a 360 gradi.
Prova ad immaginare una versione di te diversa da quella che oggi sei: la musica è sempre stata il tuo unico sogno, oppure avresti voluto diventare qualcosa di “altro”, rispetto a ciò che sei? E se sì, cosa?
Alcune volte, in realtà poche, penso che avrei potuto continuare gli studi di Economia ed avere presumibilmente un futuro più stabile. Ma avrei, per certi versi, annullato me stesso, il mio modo di essere e di vedermi allo specchio. La musica è importante per me e non mi basterebbe esserne solo fruitore.
Senti, cosa ne pensi dell’attuale situazione discografica italiana? Che visione hai, per esempio, delle playlist editoriali?
E’ diventata col passare degli anni una situazione un po’ controversa. Non sono chiari i ruoli di questa dinamica, chi promuove l’uno e chi si serve dell’altro. Il mondo delle playlist va completamente stravolto a mio avviso. E’ business che difficilmente può portare risultati concreti agli artisti, è difficile entrarci e in molti casi gli editori chiedono un compenso immotivato.
Fra poco, Sanremo 2024 irromperà nelle nostre case. Cosa ne pensi della line-up di quest’anno? Hai già una preferenza?
Sanremo negli ultimi anni è tornato ad essere un grande spettacolo ed una rampa di lancio. C’è molta più varietà di genere musicale ed è diventato un trend anche per i più giovani. Non ho ancora un preferenza, dovrei ascoltare prima le canzoni, le vere protagoniste.