In un’epoca in cui il cinema italiano sembra essere a corto di idee originali, eccoci di fronte all’ennesimo remake. “50 km all’ora” è la rivisitazione italiana di “25 km/h”, film tedesco campione d’incassi nel 2018. O meglio: in molte parti è la riproposizione in toto dell’opera originale, visto che numerose scene sono esattamente identiche. La versione italiana, comunque – essendo sponsorizzata dalla Regione Emilia Romagna – è in ampi tratti uno spottone alle beauty farm e alle località turistiche della regione stessa.
Ne dovete desumere che “50 km all’ora” è un brutto film? No. È un film che consiglierei? Insomma.
La trama: due fratelli cinquantenni, diversissimi di carattere, non si vedono da decenni e sono costretti a farlo a causa della morte del padre Corrado (Alessandro Haber). Rocco (Fabio De Luigi) è tranquillo, riflessivo, ironico ma malinconico ed è lui che vive solo col padre sulle colline, da qualche parte in Emilia. Guido (Stefano Accorsi) è un imprenditore che lavora nel settore delle navi da crociera, chiassoso, confusionario, sfacciato, l’esatto opposto del fratello. Il padre ha espresso il desiderio che le proprie ceneri vengano sparse sulla tomba dell’ex moglie a Cervia (RA). Dopo un iniziale disaccordo, i due ne approfittano per esaudire un desiderio giovanile e decidono di fare il viaggio verso il mare con due motorini tipici degli anni ‘80, un Piaggio Ciao e un Atala Califfone, che – per non violare la legge – nel film vanno ai 50 orari di velocità massima. Io sono di quell’epoca e posso dire che i nostri andavano il doppio.
La storia scorre con la presentazione di abitudini ed elementi tipici degli anni ’80 – cose un po’ troppo leggerine, a dire il vero – e prosegue con i consueti canoni del road movie, attraverso diverse avventure – alcune davvero inverosimili – e particolari non curati: ad esempio, il viaggio pare durare a lungo, ma i due non hanno nemmeno un cambio di vestiti; oppure, in una deviazione motivata dal desiderio di Rocco di vedere il figlio non riconosciuto di Guido, i fratelli puntano verso la lontana Milano, che raggiungono in scioltezza con i ciclomotori. Infine, per me che sono appassionato di geografia, non capisco come ci possano essere le colline tra Comacchio e Cervia e come il cimitero stesso di Cervia possa essere in montagna. Mah.
Il meccanismo di movimentazione della trama è classico: la diversità di carattere dei due fratelli, che in viaggio si comportano da ragazzini, tra contrasti e una ritrovata complicità. E qui, secondo me, emerge la differenza di capacità attoriale tra De Luigi e Accorsi. Il primo ha la stessa espressione che gli ho visto fare in tutti i film cui ha partecipato: tranquillo, riflessivo, ironico ma malinconico; è così in quanto Rocco ed è sempre stato così in tutti i film precedenti. Peccato, perché se ripenso alle sue performances nelle varie edizioni dei programmi della Gialappa’s Band mi sarei aspettato di più dalla sua carriera di attore. Il De Luigi regista è altrettanto compassato, forse timoroso di osare qualcosa di nuovo. Accorsi è bravissimo e si vede che è contento di ritornare a casa dove è nato; nel film usa la stessa parlata che esibiva in quel lungometraggio meraviglioso che è “Radiofreccia” (1998) di Luciano Ligabue. Però, anche lui è abbastanza incasellato nella rigidità schematica di un road movie nostrano ma non così genuino. Dimenticabili gli scarni camei di Paolo Cevoli e Marina Massironi, mentre è sempre un piacere rivedere il grande Alessandro Haber, che ancora una volta dimostra tutta la sua bravura.
Mi resta da spiegare – dopo quella che sembra una totale stroncatura – come mai alla fine non si tratti di un film così male. Innanzitutto, ho trovato profonde le spiegazioni dei rapporti incrociati di Rocco e Guido con i genitori e di come l’incomunicabilità crei spesso dei disastri. Infine, la chiave è proprio nel finale, a sorpresa, emozionante ed esplicativo; ad ogni modo rimane l’amaro in bocca per aver goduto solamente di un paio di minuti davvero buoni dopo aver attraversato per quasi due ore il nord Italia: aggiungo, con poca soddisfazione.