In un mondo perfetto il 26 gennaio 2024 non sarebbe dovuto essere “il giorno del secondo album dei The Smile“, ma il giorno del “secondo album dei The Umbrellas“. Ovviamente non viviamo in un mondo “così” perfetto e Thom e soci hanno preso la ribalta della scena mediatica. Ma qui in casa IFB i cari ragazzi di San Francisco sono amati, tanto amati e anzi, per chi vi scrive questa benedetta giornata del 26 gennaio verrà segnata comunque sul calendario come “il trionfo del guitar-pop”.
Il quartetto eleva alla massima potenza il proprio songwriting, irrobustendolo a dovere, esaltando tutte le magnifiche influenze che hanno sempre avuto ed espandendo un raggio d’azione sonico a tal punto che questo secondo album non è solo frizzante, accattivante e invitante ancora più dell’esordio, ma anche ricco di sorprese per noi ascoltatori, esaltati nel notare quanto la band sia pronta a mettersi in gioco.
Il jangle-pop prezioso e curato dei The Umbrellas riceve incredibili iniezioni di potenza e ardore quasi punk (provate a sentire subito “Toe The Line”) e diventa realmente irresistibile fin dal primo brano “Three Cheers!”, biglietto da visita perfetto per mettere in luce la vivacità travolgente che ci colpirà durante l’intero lavoro.
Certo il santino dei divini Heavenly è lì, nel taschino dei ragazzi californiani, basta sentire “Goodbye”, ma come non stropicciarsi gli occhi di fronte alla complessità e agli arrangiamenti di “Say What You Mean” in cui i nostri osano senza problemi, andando addirittura a ricordarmi dei Delgados in versione ancora più indie. Pelle d’oca.
La doppietta “Games” e “Gones” ci lascia storditi e completamente affascinati di fronte all’ebrezza melodica che i nostri mettono in campo: ritornelli che sarebbero da studiare a scuola da tanto sono perfetti.
C’è spazio anche per la dolcezza e per quella raffinatezza che avevamo amato nel loro esordio. Parliamo di una meraviglia come “Echoes” e dell’acustica “Blue”. Quest’ultima ci conduce alla meravigliosa “P.M.” che nel riff sembra un tributo ai primi Cure, con quel giro di chitarra che rimanda dritto a “Boys Don’t Cry”.
In conclusione non posso che dire grazie a band come i The Umbrellas che ci ricordano ancora il potere e la bellezza del guitar-pop vecchia scuola, sempre troppo poco celebrato ormai, perennemente in mezzo a onde di tempesta con hypster risibili che gridano festanti “alla morte delle chitarre”: resistete ragazzi, perché è questa la vera musica del cuore per noi che non riusciamo a dimenticare la Sarah Records.