Jozef Van Wissem , olandese di nascita ma neworkese d’adozione, sembra essere uscito direttamente da “Pulp”, (capo)lavoro letterario del grande Charles Bukowski. Come i personaggi raccontati dalla penna del geniale scrittore statunitense, infatti, Jozef è un uomo fuori dal suo tempo. Del resto, la sua gamma sonora fatta di avanguardia barocca e di note dorate per palati fini, è merce piuttosto rara nel variegato universo del mainstream musicale.

Credit: Kris Dewitte

In tal senso la sua ultima creatura, “The Night Dwells in the Day”, non fa eccezione. Van Wissem, armato del suo fido liuto (lo strumento a corde rinascimentale), ha sfornato sette pezzi – per lo più strumentali – dai titoli a tinte bibliche e dal forte richiamo cinematografico. “The Devil Is a Fair Angel And The Serpent A Subtle Beast”, per esempio, oltre ad essere il pezzo che apre le danze, rappresenta una sorta di marcia onirica verso gli orizzonti immaginifici tracciati nel disco in questione.

È musica su cui riflettere quella di Van Wissem. Altro che la moderna frivolezza imposta da un mondo che fagocita qualunque cosa, persino la spiritualità intrinseca dell’ascolto di un album. Va da sè, naturalmente, che il vecchio Jozef rifiuti alquanto l’accessibilità fine a sè stessa in nome di una qualità che rispecchi a pieno quelli che sono i suoi canoni stilistici. Tradotto in soldoni: Van Wissem se ne frega e continua ad andare avanti per la sua strada.

Come nei nove minuti di “The Call of the Deathbird” dove il Nostro, in verità, oltre a cantare con la sua voce (evento alquanto raro) si fa coadiuvare – nei cori – dalla musicista irlandese (ed ex bassista dei JJ72), Hilary Woods. Mentre nella sacralità dal sapore di avanguardia barocca di “In Exile Here We Wander” il crescendo del liuto è così dirompente da trasportare l’ascoltatore in un microcosmo romanticamente “agé”. “The Day Of The Lord”, invece, è il finalone evocativo che non vi aspettereste mai da un disco di Jozef Van Wissem.

O, almeno, non in questa (straripante) misura. Si tratta, infatti, di un brano che è al tempo stesso dannatamente cupo e maledettamente magnetico. Decadenza e morte s’incontrano nei loop elettronici che vanno a smorzare, come ombre su di un tramonto, l’andamento epico del (solito) liuto.

In definitiva, provando a tirare un po’ le somme, “The Night Dwells in the Day” è un’opera che richiede tempo, concentrazione, oltre che una certa ampiezza musicale, per comprenderne appieno l’indiscutibile bellezza. È una sorta di “tesoro dei pirati”, il nuovo lavoro di Van Wissem. Difficilmente setacciabile nei mari affollati dello showbusiness musicale, ma pieno di pepite d’oro e di diamanti luccicanti.

E chissà che qualcuno, tra una piega e l’altra dell’album, oltre che tra le luci sfilettate dei sogni mai raccontati, non riesca a scorgere la sagoma sghignazzante di quella vecchia canaglia del sopraccitato Bukowski.