Quest’anno ho fatto una scelta per la mia salute mentale: ho deciso di tenermi lontano dal Festival per più tempo possibile, isolandomi – per quanto potessi – dalla mattanza social di una rassegna che di anno in anno diventa sempre più virtuale e meno concreta.
Ci sono riuscito fino alla finale di ieri sera, che mi ha visto in trincea con l’elmetto a sparare qualche giudizio raffazzonato su una proposta artistica che comunque non poteva essere presa più sul serio di così; e se non ci fosse stata la missione affidatami da Indie For Bunnies, che ormai mi ha relegato al ruolo del martire sanremese – martirio che, purtroppo, mi lascia sempre troppo in vita per poter rifiutare l’incarico l’anno successivo -, se non ci fosse stata insomma la pressione ineludibile della mia redazione preferita probabilmente quest’anno avrei dimostrato a me stesso che sì, si può essere italiani e fregarsene altamente della contemporanea esistenza di un mondo parallelo che, per sette ore a serata, invade la quotidianità di tutti, sostituendo il grigiore della routine con la mediocrità di una kermesse che ci fa sentire a casa perché sempre più priva di qualcosa di diverso da quello che possiamo ritrovare giornalmente nella nostra abitualità.
Tutto, a Sanremo, sa di casa: Amadeus che è sempre lo stesso, ed è ovunque, tutto l’anno e non solo per la prima settimana di febbraio: dai pacchi alle reazioni a catena passando per i palinsesti di tutte le radio nazionali; le battute comiche di comici strapagati e soubrette della domenica che ricordano altri palcoscenici della domenica, come i circoli ricreativi e i pranzi in famiglia con gli zii e le zie che diventano simpatici solo dopo la terza bottiglia di vino; le performance canore che nulla hanno da invidiare ai momenti amicali dei karaoke del weekend, con la stessa sobrietà del tuo gruppo di amici il venerdì sera alle due al bar Mario; la sala stampa che proferisce giudizi estetici e morali con la stessa integrità e obiettività che hai tu, sempre la domenica sera, quando la tua squadra del cuore perde e allora tu te la prendi con il sistema, con il pubblico, con l’arbitro, con il calcio in generale ma intanto sei lì che paghi tutti gli abbonamenti calcistici possibili e dai a quello stesso sistema che vaneggi di odiare la linfa vitale per continuare a sopravvivere; e poi la platea dell’Ariston, diversa per indipendenza intellettuale dalle gallerie (che passano una settimana a pregare qualsiasi vip di “salire” per sentirsi meno soli, e meno proletari dei compagni in basso) ma uguale a noi che ci addormentiamo sul divano alla 156esima pubblicità (tanto per “accorciare” l’agonia) di un Festival che stenderebbe anche un elefante.
Al netto del fatto che il verdetto del Festival ha, per una volta, premiato il talento migliore – con una delle peggiori canzoni – aprendo tuttavia l’ennesimo dibattito sulle stesse modalità di votazione che qualche anno fa avevano fatto imbestialire Ultimo e parte del pubblico italiano (mentre oggi, invece, sembra sia stata decretata una giustizia divina urbi et orbi, e la motivazione sembra ben poco musicale ad essere onesti: povero Geolier, e povera Italietta…), che dire, se non che alla fine sono sopravvissuto anche quest’anno e che temo mi troverete qui anche per la prossima edizione del festival? Non so quanto sia un bene. Mentre ci rifletto, vi riporto qui le mie istantanee acide, fatene ciò che volete. In rigoroso ordine di apparizione.
RENGA, NEK, Pazzo per te
Un brano che scivola bene, spinto comunque da un buon incastro timbrico, di due bravi ragazzoni sempreverdi. Un po’ imbolsito, magari, ma con l’entusiasmo della gioventù: alla fine si fanno apprezzare, senza poi restare.
BIG MAMA, La rabbia non ti basta
Un bellissimo vestito per una performance elegante, sperimentando Big Mama con un traguardo importante per la sua crescita emotiva ed artistica. Il pezzo è piacevole, con un buon crescendo elettronico che fa pensare più alla playa che a Sanremo. Che sia un bene o un male, dipende dai punti di vista. Ma lei mi piace, con naturalezza e con la giusta umiltà.
GAZZELLE, Tutto qui
La canzone che ti aspetti da Gazzelle con un tocco di Elton John che dà al tutto un power up non da poco: una delle canzoni più piacevoli del Festival.
DARGEN D’AMICO, Onda alta
Lui è un bravissimo comunicatore, sempre un po’ oltre i limiti del dovuto nei suoi comportamenti – ma ormai è difficile riuscire a distinguere il naturale dal costruito. Certo, sono un bacchettone. Dico solo che è un peccato, perché a volte finisce col sabotare la trasmissione del valore emotivo di un brano che cerca di avere profondità, ma rimane impigliato nel protagonismo del suo performer.
IL VOLO, Capolavoro
Quel rischioso retrogusto Disney che versa abbondante olio su tutto il ricco condimento orchestrale di un brano che sa di Tiziano Ferro e di tanto, troppo melenso. Vischioso.
LOREDANA BERTÉ, Pazza
E pazza la è davvero, da sempre: una dea un po’ decaduta, ma pur sempre una divinità. Un piglio che rugge da sempre e non tradisce, mai: tutto un po’ datato, ma lei è dove deve essere con la sicurezza di sempre. Con un ritornello un po’ vaschiano, che si fa sempre apprezzare.
NEGRAMARO, Ricominciamo tutto
Un pezzo che è giusto sentire a Sanremo, costruito bene e calibrato con la giusta attenzione che si dovrebbe dare alla scrittura di un brano che si decide di portare su quel palco. Non è un’ovvietà, purtroppo. Bravi, e bravo Giuliano che affronta il festival in costante crescendo.
MAHMOOD, Tuta gold
Una hit che sbancherà per i prossimi sei mesi. Alla lunga faccio fatica a stare dietro a quello che dice Mahmood, ma il sound è sicuramente internazionale e il che è già un buon plus. Il tema si tinge di emotività e lui regge bene lo slancio del brano.
I SANTI FRANCESI, L’amore in bocca
Un buon brano, che ricorda i Subsonica con un piglio mainstream che non dispiace. Niente di più ma nemmeno di meno: ed è una zona mediana in cui il duo sta bene, piacendo il giusto.
DIODATO, Ti muovi
Ci mette la solita buona dose di trasporto e profondità, il buon Diodato: un brano che sfiora le stesse vibrazioni di “Fai rumore”, ed è allo stesso tempo una conferma e un limite.
FIORELLA MANNOIA, Mariposa
Piglio deandreiano e fossatiano, con uno spunto latin che Fiorella riesce a vestire bene (come qualsiasi cosa faccia Fiorella). Un brano autorale di quelli che sono nelle corde dell’artista: ci vuole comunque una buona dose di coerenza e coraggio per presentarsi al pubblico medio con una canzone così.
ALESSANDRA AMOROSO, Fino a qui
Il timbro della Amoroso si fa valere con un’ottima performance che tiene in piedi un brano sinceramente piuttosto anonimo.
ALFA, Vai!
Mi piace il chitarrino su cui si regge tutto il peso di un brano che rimane leggero dall’inizio alla fine: ricorda mondi internazionali di una decina d’anni fa. Non proprio contemporaneo per il mondo, ma piacevole per l’Italia.
IRAMA, Tu no
Rimane in gola la canzone di Irama, che canta un buon pezzo ma lo fa con una pesantezza che forse avverto solo io… ma fatto sta che il brano non mi scende troppo. Rimane in gola anche a me.
GHALI, Casa mia
Un look da vero castigatore della notte per uno che arriva a Sanremo con la sua solita faccia, e con un brano che scivola bene, con un bel testo e un ottimo ritornello. La sfanga con una sufficienza non disarmante, diversamente da tutti gli altri colleghi.
ANNALISA, Sinceramente
Un brano costruito per essere commercializzato, sul quale Annalisa balla molto bene e canta con giustezza. Ma il brano è, a mio parere, non necessario. Con un certo, artificioso effetto puzzle nella struttura che sembra davvero figlio dei dosaggi giusti degli esperti.
ANGELINA MANGO, La Noia
Lei è la miglior voce del festival, una performer da urlo e un talento incredibile che si trova a cavalcare una scopa. Angelina è così forte che compensa, capitalizzando al massimo un ritornello decente…
GEOLIER, I p’ me, tu p’ te
Al centro di polemiche che certo non devono aver giovato alla tranquillità del ragazzo, Geolier si districa su un brano che certamente non è nella mia Top5. Però alla fine si fa ascoltare quanto altri brani che si sono guadagnati altrettanti incomprensibili posizioni d’alta classifica. Insomma, primus inter pares.
EMMA, Apnea
Un’atmosfera anni ottanta da diva disco per Emma, che cavalca il palco dell’Ariston con una canzone un po’ alla Tozzi, ma con il solito piglio da Emma.
IL TRE, Fragili
Non lo conoscevo prima di questo festival, non mi ha convinto ad approfondire. Un corsa affannosa verso il tentativo di convincere il pubblico italiano di essere su quel palco con un senso; dal canto mio, continuo ad essere perplesso in merito. Fiorello gli fa fare freestyle: va malissimo.
RICCHI E POVERI, Ma non tutta la vita
Mi fanno simpatia e mi viene voglia di strapparmi i capelli che non ho al pensiero dei remix che invaderanno la nostra estate, rimescolando questo brano nei modi più trash possibili.
THE KOLORS, Un ragazzo una ragazza
Non si può dire che sia un pezzo che non passi il messaggio: racconta di certo di un ragazzo che incontra una ragazza e di conseguenza la notte non finirà. Caruccio, con buone possibilità di diventare tormentone. E tormento.
MANINNI, Spettacolare
Un pezzo che non esplode mai sul serio, prova ad arrampicarsi ma non ha la grinta necessaria per arrivare alla cima. E alla lunga, perde la presa e scivola verso il basso.
LA SAD, Autodistruttivo
Rivoluzionari come l’acqua calda, esattamente come l’acqua calda scaldano comunque l’assopito pubblico sanremese. Cartoon-punk.
MR. RAIN, Altalene
Niente male, per essere il sequel di “Supereroi”. I bambini non ci sono, ma il testo emotivo sì. Purtroppo, l’emozione va e viene… più va, che viene.
FRED DE PALMA, Il cielo non ci vuole
Rientra fra le scelte che proprio non comprendo da parte di Amadeus: va bene le radio, ma poi cosa resta? Un brano che non era necessario, e che finisce con lo sciogliersi mentre brucia. Fiorello fa fare freestyle anche a lui: meglio di Il Tre.
SANGIOVANNI, Finiscimi
Uno dei brani più sensati del festival, scorre bene, con un ottimo arrangiamento e una buonissima performance vocale. Meritava un po’ più attenzione: il bridge che anticipa il ritornello crea la giusta attesa e rivela una sapiente costruzione.
CLARA, Diamanti grezzi
Ma perché il festival di quest’anno ha preso questa linea un po’ esotica, in melodie che vorrebbero fare l’eco all’ondata del pop latino? Invece finisce con il rimanere incollato sulle coste dell’Adriatico, al massimo lato balcanico.
BNKR 44, Governo punk
Mi hanno convinto perché si sono divertiti, hanno domato bene il palco mostrando buona attitudine su più livelli. E il brano comunque è fresco il giusto, un po’ emo-pop a tratti, con reminiscenze da primi Duemila. Che i Duemila siano il new vintage?
ROSE VILLAIN, Click boom!
Ultima esibizione del girone infernale di quest’anno, Rose canta così così un pezzo che è bipolare, come un proiettile che squarcia la carne lasciando un ritornello che sembra cucito a colpi di pistola su un brano che rimane irrisolto.