Un nodo nel quale si intrecciano innumerevoli influenze; un concerto nel quale si incontrano e si sfiorano, si sovrappongono e si esaltano, si consumano e si trasformano, esperienze musicali diverse tra loro. Un collage sonoro eterogeneo che rapisce gli spettatori presenti in sala; si ha, infatti, la vivida sensazione di ritrovare sapori familiari noti, ma, allo stesso tempo, il tutto assume i contorni di un viaggio in un luogo nel quale non siamo mai stati prima d’ora.
I nostri sensi ne sono avvolti, percepiscono aromi concreti, la cui consistenza è del tutto sconosciuta. Intanto la band mescola, sapientemente, nel proprio grembo sonico, divagazioni jazzistiche, aperture ai ritmi brasiliani, contaminazioni acide e neo-psichedeliche, riverberi di matrice elettrica, dando vita ad una accattivante ed imprevedibile stratificazione di suoni e parole, rumori ed effetti: chitarre, flauto, batteria, atmosfere astrali, rock spaziale ed echi elettronici che ci spiazzano, ci divertono, ci incuriosiscono e ci spingono, di conseguenza, a seguire un racconto sperimentale che sembra fatto su misura per ciascuno di noi, per i nostri pensieri, per i nostri bisogni più intimi, per le nostre domande e per le nostre aspirazioni.
I Vanishing Twin offrono uno spettacolo che oltrepassa il semplice concerto, che oltrepassa il consueto e canonico rituale di strofe e di ritornelli, mentre le armonie verbali di Cathy Lucas si aprono, al nostro cuore inquieto, come un sentiero immaginifico lungo il quale la nostra mente, finalmente sveglia, può incamminarsi. Ed, intanto, tutt’attorno spuntano, come fiori surreali, i ricordi passati, i sogni inconfessati, improvvise e preziose rivelazioni, sensuali fantasie che si aggrappano, a loro volta, alle ritmiche incalzanti di Valentina Magaletti, tramutandosi così in qualcosa di fisico, di corporeo, di palpabile. Ma si tratta di una concretezza diversa, liberata dai sotterfugi e dai compromessi artificiali, e perciò più veritiera, più appassionante, più audace.
Un ex-cinema nel quale si respira qualcosa che ci riporta all’epoca epica degli anni Sessanta, il palco diventa una sorta di giardino pop, stupefacente e innovativo, sul quale le luci gialle e viola attraggono le nostre riflessioni e i nostri sentimenti, incastonandoli tra le linee del basso, adagiandoli tra le sfumature delle percussioni, mentre il concerto giunge alla sua naturale conclusione e “Subito”, svincolandoci dai tanti opprimenti slogan virali che intorbidiscono ed avvelenano le nostre esistenze, ci riporta, semplicemente, a casa.
A casa, nel bel mezzo dell’universo.