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Mi piace introdurre questa veloce chiacchierata con Brad Laner dei Medicine con le parole che il nostro Giuseppe Loris Ienco ha usato per recensire il nuovo album “On The Bed” (disco composto quasi esclusivamente da cover dei Beatles, reinterpretate in chiave acida e lisergica) : “Con questo nuovo lavoro, il leader Brad Laner e i suoi compagni provano a reinventarsi per l’ennesima volta con l’obiettivo di esplorare in lungo e in largo territori musicali a loro già noti, ispirati dalla psichedelia, dal garage rock, dal krautrock, dal pop degli anni ’60 e persino dall’avanguardia e dalla musica concreta. Il risultato è un disco originalissimo e sorprendente, che sfida le convenzioni e le aspettative degli ascoltatori offrendo una visione al tempo stesso antica e innovativa del rock semi-sperimentale“.

Ovviamente, anche alla luce di quanto scrive il nostro fidato collaboratore, uno scambio di battute con il veterano Brad, leader degli “storici” Medicine (attivi dal 1991, ricordiamolo), ci ha fatto molto piacere…

Ciao Brad, terzo disco negli ultimi 3 anni. Mi sembra che tu abbia davvero preso il ritmo di un disco all’anno. È un ritmo che sarai in grado di sostenere di nuovo?
Assolutamente sì. Il prossimo album è già a metà strada e uscirà sicuramente nel corso dell’anno.

Inizierei da “Silences”, il disco dell’anno scorso, e dall’arrivo di Julia nella band. Come vi siete conosciuti e come ha contribuito al disco?
Un giorno alla motorizzazione di Van Nuys ho visto una ragazza molto carina con una maglietta degli SPK e una giacca di pelle con la bandiera americana e una gigantesca toppa dei Les Rallizes Dénudés fatta in casa. Come potevo non provare a parlarle? La sua voce è pura ispirazione.

“Silences” è discordante, frammentato, a volte sembra che vi siate divertiti a mettere una canzone dentro altre canzoni. È sicuramente un disco disorientante. Come lo giudichi e come lo collochi all’interno della vostra lunga discografia?
È assolutamente la cosa migliore che abbiamo mai fatto, di gran lunga.

Visto che ho parlato della vostra discografia, mi toglierò una piccola curiosità. Ma come giudicate il fatto che, praticamente per tutta la vostra carriera, siete stati definiti la risposta americana ai MBV?
Onestamente, è un enorme complimento per i MBV essere paragonati a noi. Hanno molto da recuperare, però.

Passiamo a “On The Bed” e alla ripresa di brani dei Beatles. Ascolto le prime 4 canzoni e mi dico che questo disco vuole essere l’opposto di “Silences”, sembra quasi che vogliate riprendere gli anni ’60 in versione garage. Andamento lineare, melodico, immediato, irresistibile. Certo, c’è il punto di partenza dei Beatles, ma sembra che abbiate voluto creare una distanza dalle canzoni così “toste” del disco precedente…
Sì, ci stiamo divertendo e stiamo seguendo il nostro istinto. Un disco è come un’istantanea di un periodo di tempo.

Poi con la cover di “Blue Jay Way” inizia un “nuovo” album, più lo-fi, più sperimentale. Hai optato per una resa ancora più lisergica dell’originale. È come se, da lì, partisse un lato b con un mood completamente diverso. Come mai?
Mi piacciono gli album che fanno cose del genere. Molti stati d’animo diversi e svolte inaspettate. È quello che voglio in un disco.

Ma da dove viene questa resa di “Junk” di McCartney? Dopo tanto frastuono ecco una versione quasi jazz. Morbida, notturna e molto dolce.
Siamo persone complicate e ci sentiamo in modi diversi in momenti diversi. A volte siamo morbidi e dolci, a volte vogliamo ucciderti.

Forse la canzone più particolare del disco è “The Beatles Story”. 10 minuti che potrebbero sembrare piuttosto inquietanti di primo acchito…
È una storia sui Beatles, ma ve ne accorgerete solo se ascolterete molto attentamente e con la massima attenzione.

Mi piace il finale del disco, con “Photograph” di Ringo, che mantiene un sapore lo-fi ma sembra quasi volerci riconciliare con la forma canzone classica. Come se nel finale volessi rassicurare l’ascoltatore. Mi sbaglio?
È una canzone sentita che parla della perdita di qualcuno che si ama. Vogliamo confortare le persone nei momenti di perdita, perché sappiamo quanto sia doloroso.

Ventiquattro anni di attività, con qualche pausa, certo, ma se si guarda indietro si vede un percorso molto lungo… C’è un po’ di nostalgia per qualche periodo, magari per gli anni ’90? C’è qualcosa che avrebbe fatto diversamente?
Tutta la nostra storia è stata perfetta e non cambierei nulla. Questo è in assoluto il mio periodo preferito dei Medicine e non fa che migliorare con tutto quello che facciamo.

Grazie ancora Brad per la tua disponibilità. Ultima curiosità: come giudichi questo ritorno dello shoegaze? Non solo band come i Ride o gli Slowdive che fanno concerti da tutto esaurito e sono elogiati dalla critica, ma anche molte nuove band che partono dal sound degli anni ’90 per fare la loro nuova musica. Potevate immaginare un ritorno così “forte” dello shoegaze?
Lo shoegaze è una forma di musica morta. Negli anni ’90 non lo chiamavamo shoegaze. Era considerato un insulto. Ride e Slowdive sono imbarazzanti e fanno musica noiosa. È Yacht Rock, musica di sottofondo. Se la nostra associazione con quella scena ci porta ascoltatori, è grandioso, ma non credo che stiamo cercando di fare musica anni ’90. Per niente.