Tante considerazioni mi vengono in mente mentre assisto all’esibizione dei 1975 in un Forum di Assago praticamente gremito. La prima è ovviamente relativa al percorso trionfale della band, un climax inarrestabile. Li ricordo a Copenaghen, nel 2013, in un club minuscolo nel tour del primo album e ora eccoli qui, davanti a una folla urlante e ossannante, con Matt che, quando non è onstage, è comunque spesso pronto a finire sotto i riflettori dei tabloid mondiali per la fidanzata di turno o per dichiarazioni sempre da prendere con attenzione (il ragazzo è tutt’altro che sciocco).
La seconda considerazione è che non si può rimanere incantati da questo palco clamoroso che accompagna il tour della band inglese. Una vera e propria casa in miniatura, un piccolo mondo casalingo fatto di stanze, scale, porte e ogni elemento di arredo che si rispetti. Non uno scherzo. Tanto che per riempire tutta quella “casetta” non bastano più loro 4, ma si avvalgono anche del contributo di altri musicisti che “abitano” le varie stanze.
Non è un caso che, descrivendo ad amici quello che ho visto nella prima parte dello show, ho parlato di sit-com: avete presente quelle classiche, quelle americane che spesso, o per lo più, si svolgevano dentro una o più stanze. Ecco questo è quello che mi è arrivato dritto in testa, quando poi dai maxischermi ogni presente è stato proprio “presentato” a mo’ di protagonista della serie (o della serata, fate voi) ecco che ne ho avuto la certezza. Nella sit-com dei 1975 il pubblico (giovincelle, sopratutto, con delizioso look d’ordinanza e grande sfoggio di cravatte, gonnelline e camicie bianche) non sta li a ridere attendendo la battuta, come appunto in quelle serie anni ’80, ma sta pronto a cantare, alzare i telefoni e battere le mani con trionfale partecipazione, mentre la band sembra eseguire schemi decisamente rodati, quasi “attoriali”. Non che manchi la sincerità in quello che vediamo, ci mancherebbe altro, ma la fin troppo meticolosa attenzione al dettaglio (Matt perennemente alla ricerca della sigaretta o della bottiglia, la sua costante aria da “sfinito” che caracolla di quà e di là o i gesti di tutti i musicisti che paiono davvero studiati a tavolino) mi toglie quel gusto del “vero” e mi trasmette fin troppo l’idea del “pacchetto costruito ad arte”. Ma forse nel mondo della sit-com ricreata sul palco è proprio questo il messaggio che si vuole trasmettere, mi vien da pensare.
Intendiamoci, è un pacchetto pazzesco quello di cui parlavo sopra.
I 1975 sono una pop band che spacca il capello e non si perde in balletti o siparietti risibili con i suoi fan, no no, spacca il capello per avere la perfezione assoluta. In primis nel suono che ho trovato ottimo, almeno dalla mia posizione a sinistra del palco (i musicisti, bravissimi tutti, erano tanti, ma l’audio non ne ha affatto risentito, ve lo assicuro) e poi nella gestione, appunto, di una scenografia che mi ha lasciato a bocca aperta: lo studio delle luci (quando, in un particolare momento, c’è il saxofonista contro luce che suona, per noi devoti degli anni ’80 è un colpo al cuore!), le finestre, i mobili, la poltrona, la scala a chiocciola, il divano, le TV accese, le bajour, il porta cenere, i tavolini, persino la scacchiera (e chi l’aveva mai vista una scacchiera sul palco??!!)…non c’è nulla di lasciato al caso, proprio come se fossimo in uno studio cinematografico volto a ricreare una situazione di vita famigliare in modo esagerato: tutto talmente perfetto e curato e tutto, deliziosamente, finto che certe volte ti chiedi se anche i 1975 stiano “fingendo”. Ecco nella prima parte del live, quella più dedicata all’ultimo album, la sensazione di magnifico “actors-studio” ha fatto capolino, lo ammetto. Sarà anche perché le prime canzoni proposte, tutte dal più recente lavoro, non brillano certo per elevata qualità (è innegabile che l’ultimo album dei ragazzi faccia piuttosto fatica in più di un punto e seppure la dimensione live giovi, certe banalità come “Happiness” o “Oh Caroline” paiono una minestra fin troppo riscaldata ormai). Non a caso i primi veri sussulti arrivano con la doppietta “Robbers/Somebody Else” e poi Matt imbraccia l’acustica e smette di peregrinare in modo instabile sul palco e la band piazza una versione clamorosa di “I Always Wanna Die (Sometimes)”, capace di metterne in luce la melodia scintillante. Tutto volge per il meglio con “fallingforyou”, in cui un Matt ombroso e cupo si mette sul divano e spazza via piano piano i famosi scacchi di cui parlavo sopra e l’apice lo abbiamo con “About You”, senza dubbio la canzone più bella di “Being Funny in a Foreign Language”, che qui non perde nulla del suo climax. Temevo che il Forum avrebbe potuto rovinare l’audio invece proprio in questa canzone, che ha un impasto finale molto ricco, tutto si è sviluppato in modo favoloso, con le chitarre che si amalgamavano perfettamente con il sax: canzone eseguita in modo perfetto e punto alto di una prima parte in cui la band sembra avere comunque un po’ il freno a mano tirato (e potrebbe anche essere la stanchezza, visto che siamo alle ultimissime date di un tour che è stato davvero lunghissimo).
Poi ecco l’inspiegabile. “When We Are Together” meriterebbe raccoglimento e intimità (quella che ci sarà per “Be My Mistake” con Matt solo alla voce e alla chitarra, ad esempio) e invece diventa mero sottofondo per una serie di “operai” che liberano il palco da tutte le strutture casalinghe. Tutto voluto sia chiaro, lo show è proprio pensato per avere questo, ma il risultato ai miei occhi è stato che una canzone così dolce è diventata giusto la colonna sonora di un “trasloco” che avveniva sotto i nostri occhi, rubando in pieno la nostra attenzione verso un brano che invece, ripeto, meritava altra sorte: in soldoni scelta sbagliatissima.
“Jesus Christ 2005 God Bless America” cantata da Polly Money è solo un siparietto per dare la possibilità a tutti di cambiarsi e rifiatare.
La seconda parte dello show si apre con “If You’re Too Shy (Let Me Know)” e qui, finalmente la band, riapparsa onstage tutta in nero, è libera di mollare gli ormeggi e lasciarsi andare, senza più costrizioni “cinematografiche” o di palco. In successione ecco brani che fanno muovere, ballare, urlare e i primi a trarne beneficio sembrano proprio i 1975 e Matt che incita i presenti a saltare durante “The Sound” è l’emblema di una marcia alta che è stata finalmente ingranata. I 1975 vanno ora a pieno ritmo e i presenti non possono che godere di uno show realmente incalzante. Magari a “TOOTIMETOOTIMETOOTIME” avrei tolto quel profumo leggermente “caraibico” dato dalle percussioni, ma questo va realmente a gusto personale.
C’è spazio anche per una sonicissima “Sex” e poi io mi permetto abbandonare il forum sule prime note della conclusiva “Give Yourself a Try”. Un concerto in crescendo quindi, partito piano per le ragioni elencate ma finito alla grande.
Impossibile non spendere due parole anche per i Been Stellar che hanno aperto la serata. 30 minuti scarsi di un sublime indie-rock dalle chiare tinte “newyorkesi”. L’audio era buono e i ragazzi hanno badato al sodo: poche parole, testa bassa e avanti tutta. Le trame chitarristiche, rabbiose, pulsanti e taglienti, in bilico tra Interpol e Strokes sono emerse chiare e soniche, figlie di una tensione giovanile che si sublima in melodie esaltanti e ricche di tensione. A brani suonati in modo impeccabile e travolgente come “Manhattan Youth”, “Kids 1995” e a una micidiale e brutale “Passing Judgment” è bastato ben poco per ribadirci che i Been Stellar hanno un futuro radioso davanti. Poco ma sicuro!
Gran bella serata!