Scrivere del primo, omonimo album dei Run DMC equivale a farsi un giro fra i sobborghi del Queen’s (e di Hollis in particolar modo) in una New York fumosa e non ancora imborghesitasi durante la prima metà degli Anni Ottanta (1984). Non solo. La storia e l’ascesa di Joseph RunSimmons, Darryl DMCMcDaniels e di Jason Jam Master J“, è anche quella di un genere musicale, il caro vecchio “Rap”, che proprio grazie all’ingresso in punta di piedi effettuato dai Nostri all’interno di quel salotto esclusivo che era il “mainstream” dell’epoca, è riuscito a farsi strada a colpi di beat rockettari e di intuizioni geniali tra i meandri scivolosi dell’universo musicale, sin lì appannaggio di artisti (quasi sempre “bianchi”) orientati verso il pop-rock più canonico e conservatore. Poco da dire.

L’album d’esordio pubblicato dai Run DMC e prodotto da quel geniaccio di Larry Smith (coadiuvato da Russell Simmons) è stata una vera e propria rivoluzione culturale, una delle tante piovute come meteoriti su di un decennio sì edonista e patinato, ma anche e soprattutto, proiettato nel futuro. Del resto, basti pensare alla squintalata di produzioni moderne che vanno a saccheggiare, come i predoni dei villaggi bazzicati dal 64º successore della Sacra Scuola di Hokuto (sì, Ken Shiro) – i suoni e le intuizioni dell’epoca.

“Rock Box”, per esempio, oltre ad essere stato il primo singolo estratto dal progetto, ha rappresentato una sorta di golpe al sound maggiormente in voga in quegli anni. Con l’avvento del suddetto brano e della crew newyorkese, la cosiddetta “scena Rap” – nata e sviluppatasi inizialmente nel Bronx – si era finalmente impossessata di tutto l’emisfero musicale degli eighties. Va da sè, naturalmente, che l’apice dorato del percorso iniziato nel 1984, i Run DMC lo toccheranno con l’uscita di “Walk This Way”, sublime rimaneggiamento di un vecchio pezzo degli Aerosmith. Curiosità tra le curiosità, leggenda vuole che durante la lavorazione di “Bad” (1987), McDaniels e soci siano stati convocati dal re del pop in persona (Michael Jackson) per un’eventuale collaborazione.

Ciò detto, “Run DMC” è l’opera variegata di un trio di improbabili outsider, uniti, però, da un immenso Sapere musicale. Ascoltare dei brani quali “Hard Times” o “It’s Like That”, infatti, significa immergersi in un microcosmo fatto di flow dannatamente incisivi e all’avanguardia (soprattutto per quei tempi) e di rime baciate dal forte retrogusto sociale. Erano dei poeti del ghetto in cerca di riscatto (e dalla cultura enciclopedica), i Run DMC. Non a caso, il debut omonimo – che proprio oggi compie quarant’anni – nel corso del tempo rappresenterà una sorta di Sacro Graal per tutti quegli artisti hip-hop che proveranno ad emergere durante le decadi successive.

In parole povere, oltre ad essere stato l’anno di “Purple Rain”, del draft di Jordan ai Bulls e della “Storia Infinita”, il 1984 sarà ricordato anche per questo (capo)lavoro.

Run DMC: Il Queen’s alla conquista del mondo.  

Pubblicazione: 27 marzo 1984
Durata: 39:27
Dischi: 1
Tracce: 9
Genere: old school rap, rap-rock,
Etichetta: Profile Records
Producers: Russell Simmons, Larry Smith

Tracklist:

  1. Hard Times
  2. Rock Box
  3. Jam-Master Jay
  4. Hollis Crew (Krush-Groove 2)
  5. Sucker M.C. ‘s (Krush-Groove 1)
  6. It’s Like That
  7. Wake Up
  8. 30 Days
  9. Jay’s Game