Come se fosse facile essere Mark Knopfler.
Uno che con i suoi Dire Straits ha venduto milioni di dischi nel mondo e realizzato almeno una decina di assolo entrati di diritto nello spazio eterno del firmamento rock mondiale. No. Non è facile essere Mark Knopfler. Nemmeno quando sei un artista appagato, ultrasettantenne, che non deve dimostrare più niente a nessuno. Neanche a sè stesso. Epperò, il buon vecchio Mark è pur sempre un fuoriclasse delle sette note ed il suo nuovo album, “One Deep River”, rappresenta una delle sue opere più godibili da almeno vent’anni a questa parte.
Registrato presso i “British Grove Studios” di Londra e prodotto insieme al fido collaboratore, nonché amico di una vita, Guy Fletcher, il decimo lavoro in studio del cantante e chitarrista britannico non è altro che una scorpacciata di brani in cui il Nostro si diverte a sciorinare ciò che gli riesce meglio: ossia, dilettarsi tra taglienti linee di chitarra, melodie che spaziano dal folk al blues, e delle storie da raccontare. Insomma, il solito (impeccabile) universo di Mark Knopfler. Poco da dire.
Del resto, basta ascoltare le prime note di un pezzone come “Two Pairs Of Hands” per rendersi conto di trovarsi di fronte ad un lavoro epico, magistralmente suonato, impregnato di Arte e del tocco magico dei furono Dire Straits. Altroché. Non si tratta, però, di un mero atto nostalgico o di una mancanza di idee. Anzi. La veste retrò fatta indossare al brano in questione riesce a mettere maggiormente a fuoco le intuizioni sonore di un Knopfler in stato di grazia. E lo stesso discorso, se vogliamo, lo si potrebbe estendere pure alla splendida “Ahead Of The Game”, vero e proprio highlight di un album che riesce a trasportare l’ascoltatore in un microcosmo fatto di semplice regalità e di Poesia metropolitana. Ed allora tanto vale venire a patti anche con quelle tracce che non riescono a spiccare come potrebbero (o dovrebbero).
“Watch Me Gone”, per esempio, risulta un po’ (troppo) telefonata e piatta alle orecchie di chi si è esaltato alquanto ascoltando, invece, la potenza di fuoco di brani quali “Janine” o “Sweeter Than The Rain”. Ad ogni modo, stiamo parlando di momenti episodici che nulla tolgono e nulla aggiungono alla magnificenza ancestrale di un disco che riesce a riportare Mark Knopfler sulla mappa, e su dei binari che – ad essere sinceri – solo qualche anno fa sembravano essere perduti per sempre.
“One Deep River”, in definitiva, è un ritorno maestoso, convincente; atipicamente “rock”, certo, ma dannatamente fruibile. Non solo. La nuova creatura dell’ex leader dei Dire Straits riesce ad elevarsi ben oltre la sufficienza per tutta una serie di motivi che partono dai sopraccitati assolo e terminano con la sacralità urbana di alcuni dei testi presenti nella tracklist. In sostanza, “One Deep River” è un album da ascoltare con un’attenzione ai limiti del maniacale per riuscire a scorgerne i suoi aspetti più reconditi e per questo, più preponderanti.
Knopfler si è sbarazzato (per sempre?) degli Straits e questo disco ci dimostra che, forse, col senno di poi, non sia stata proprio una cattiva idea.