Credit: Fabio Campetti

Passa anche dal nostro paese il tour degli Elephant Stone, che sono in Europa per presentare l’ultima fatica in studio, uscita ad inizio anno, “Back into the dream“, questo il titolo, che è anche il sesto album in cassaforte, lavoro che arriva a suggellare una cifra tonda di carriera, quindici anni di psichedelia e un certo approccio seventies per la band di Montreal.

Un po ‘ come i Kula Shaker, senza ovviamente scomodare il percorso fatto dai fab four con le divagazioni indiane di George Harrison, anche gli Elephant Stone collocano elementi asiatici all’interno di un certo rock dilatato.

Quindi il sitar, la cosiddetta chitarra indiana, assume uno status da protagonista immersa in suoni più convenzionali.

L’ultimo disco è centrato e di valore, ma tutta la discografia assume connotati importanti, perché insieme ai succitati suoni contaminati, viene supportata da un ottimo songwriting e, sebbene, rimangano fedeli a questi territori, quasi a non volere uscire da una certa comfort zone, il collettivo canadese si fa sempre apprezzare.

Le canzoni ci sono eccome, assolutamente popolari e fruibili anche da un pubblico più disattento, sebbene gli arrangiamenti siano sofisticati come il genere impone. Però la melodia è tangibile e, come dire, “canticchiabile” in quasi tutti gli episodi della setlist di questa sera.

L’abituale Arci Bellezza, fonte di proposte ineguagliabile, ospita la data di questa sera, allestito lo stage dell’iconica palestra Visconti in concomitanza con un altro evento di tutt’altro genere.

Set che comincia poco prima delle 22 e durerà oltre l’ora abbondante. Aspettative rispettate a dovere, per un collettivo che inspiegabilmente non ha mai raggiunto, almeno in Italia, vette di visibilità importanti, che meriterebbero senza ombra di dubbio, anche stasera saremo una settantina di fan al seguito. Decisamente incomprensibile a volte come si sviluppino o come vengano veicolate certe carriere, tanto per fare paragoni, non ci trovo distanza siderale tra loro e i Tame Impala, diventati fenomeno da stadio.

Detto questo, dicevo concerto assolutamente in linea con le aspettative e setlist rispettata a dovere, e dopo l’abituale intro di sitar, la bellissima “Heavy Moon”, brano da scrittura rotonda e melodia spiazzante, “Lost in a Dream” non è assolutamente da meno o la stessa “On Our Own”, di fatto sono canzoni dal sapore evergreen, che uno non scrive proprio tutti i giorni.

Un’ora e dieci di grande musica con la sempre presente “Norwegian Wood (This Bird Has Flown)” ad omaggiare i Beatles, gusto prima dell’unico bis di “The Sacred Sound”, che suggella un concerto eccellente per la loro prima in assoluto a Milano.