In “Palazzina Laf”, esordio alla regia del primo dei due, Riondino e Germano calano due interpretazioni pazzesche. Esagerate, caricaturali ma potenti, degne, mi sblancio, dell’accoppiata Petri-Volontè.
Detto questo, va anche detto che avrebbero meritato un film migliore.
Certo, è un esordio alla regia e và celebrato perché comunque porta sul grande schermo una di quelle vicende italiane che, per il male fatto e la vergogna procurata, non vanno dimenticate. Però mi sembra che non sia ficcante fino in fondo e che soffra qualche trucchetto videoclipparo di troppo, specie sul finale.
Da una parte il film è molto attento a tratteggiare la classe dirigente dell’Ilva come sprezzante, spregiudicata, come un’oggetto capitalista demoniaco, e in questo ricorda il cinema militante di de Aranoa. Dall’altra mi sembra però che faccia fatica quando si tratta di consegnare la paranoia e l’alienazione della palazzina infame.
Sappiamo che stanno là, perché ci stanno e cosa ha causato loro, ma perché per l’appunto lo sappiamo già, non di certo perché il film riesca a farcelo sentire fino in fondo.