Mancavano da tanto, troppo tempo i Camera Obscura: ben undici anni infatti sono trascorsi dall’ultimo “Desire Lines” a questo “Look to the East, Look to the West” ma fortunatamente niente delle componenti che ci hanno fatto innamorare della band scozzese di stanza a Glasgow è andato perduto.
Certo, non è stato semplice riannodare i fili col passato, specie dovendo passare attraverso un terribile lutto come la perdita della tastierista Carey Lander nel 2015; la talentuosa musicista aveva solo 33 anni quando fu vinta da un’aggressiva forma di tumore osseo.
I Camera Obscura però non si erano mai ufficialmente sciolti e, nonostante i diversi cambiamenti avvenuti in ambito musicale negli anni dieci e venti del nuovo millennio, per loro si trattava in fondo di riabbracciarsi e ritrovare la giusta, proverbiale alchimia, quell’intesa naturale che scaturiva da Tracyanne Campbell (leader riconosciuta del combo, nonché compositrice principale sia per i testi che per le musiche) e i sodali Gavin Durban, Lee Thomson e Kenny McKeeve (ai quali si è aggiunta in pianta stabile Donna Maciocia dopo che già prese parte alle date di un tour nel 2019).
Il resto è venuto da se’, con il gruppo capace di muoversi ancora abilmente (e amabilmente) nel solco di un indie-pop aggraziato e al solito ispirato, sulla falsariga di altre acclamate band connazionali (su tutti i Belle and Sebastian, cui da sempre sono accostati o paragonati), anche se, occorre dirlo, nel corso di una rispettabilissima carriera i Nostri sono riusciti a crearsi uno stile in ogni caso riconoscibile e che mostra qualche interessante variante sul tema.
In questo disco ad esempio tra le righe emergono anche delle reminiscenze country e folk, così come è facile sconfinare talvolta su placidi sentieri dream-pop versante notturno.
Il marchio di fabbrica rimane però indiscutibilmente quel pop di pregevole fattura che ci ammalia sin dalla traccia d’apertura: “Liberty Print” sa cullare e confortare l’ascoltare, avvolgendolo con le sue soavi levigatezze, anche quando il ritmo nella sua seconda parte si accende di colpo, permeato dalla fragorosa chitarra di McKeeve.
E che dire del brano successivo? “We’re Going to Make It in a Man’s World” è dolce come un cioccolatino, specie nel suo irresistibile ritornello sixties.
A completare un trittico d’apertura che definirei l’esempio perfetto della loro poetica riassunta in poche righe arriva la romantica e briosa “Big Love”, dove fanno capolino per la prima volta dei cenni country.
Da lì in poi è tutto un susseguirsi di deliziosi momenti musicali, che magari non ti fanno sussultare o alzare dalla sedia in segno di trionfo, ma comunque ti accompagnano lungo l’ascolto facendoti immergere in un clima di beatitudine e di caloroso assopimento.
Un esempio di questo stato d’animo lo si può cogliere nella morbida ballata “Sleepwalking” o a maggior ragione in una “Sugar Almond” che non ha bisogno di grosse architetture sonore per arrivare dritta ai nostri cuori.
In generale comunque prevalgono i colori luminosi, che dipingono con pennellate soul la solare “Denon” ed elettrizzano l’atmosfera nella paradigmatica “Pop Goes Pop”.
Non deludono affatto quindi i Camera Obscura, né rischiano di apparire passatisti, semplicemente hanno ripreso a fare ciò per cui sono diventati dei maestri, vale a dire realizzare, con ingredienti semplici e rimasticati innumerevoli volte nella storia del pop, delle melodie fresche, cristalline e accattivanti.