Dal 13 maggio in oltre 150 sale cinematografiche italiane, è tornato”L’odio” di Mathieu Kassovitz, film vincitore della Palma d’Oro per la Miglior Regia al Festival di Cannes nel 1995.
Ventiquattr’ore nella vita di Vinz (Vincent Cassel), Hubert (Hubert Koundé) e Saïd (Saïd Taghmaoui), tre amici della banlieue parigina all’indomani degli scontri tra forze dell’ordine e civili dopo i quali un ragazzo del quartiere, Abdel, si ritrova in fin di vita a causa dei soprusi violenti della polizia. I tre, carichi di rabbia e con una pistola tra le mani, meditano su come avere giustizia.
Normalmente quando vedi un certo tipo di storie quello che ti resta è rabbia, profondo disagio. Disagio perchè ti rendi conto che, alla fine, quello che provano e vivono Hubert, Vinz e Saïd: insofferenza, furore, voglia di una vita migliore, è quello che desideriamo e proviamo tutti.
Magari alcuni di noi sono stati più fortunati a nascere in un posto meno degradato, ma l’essenza è quella. Con una fotografia essenziale, cruda un linguaggio che ti sbatte in faccia la realtá, Kassovitz attraverso le sue tre vittime, tre giovani come tutti, tre giovani che rispecchiano immigrazione, tentativo di integrazione e frustrazione, dicevamo Kassovitz ci parla. E ammonisce chi dovrebbe assicurare un futuro migliore a chi non ha nulla da sperare. A chi anela una vita lontano dalla periferia e passa una giornata a Parigi che sembra un altro mondo. Alla fine Vinz, il piu combattivo di tutti, si arrende ed Hubert, l’unico dall’inizio che crede in una rivalsa, cede davanti all’atrocitá dell’ingiustizia sociale in un finale epocale.
E no, il mondo dopo trentanni non è ancora nostro, come recita il cartellone pubblicitario.