Ah, i Whispering Sons: una forza della natura più che una band post punk belga qualunque. In occasione dell’uscita del nuovo disco “The Great Calm” (di cui potete leggere la nostra recensione qui) e di un esplosivo live ad Arci Bellezza (Milano), abbiamo intervistato la magnetica frontwoman Fenne Kuppens: una chiacchierata tra poesia, emozioni e la magia unica dei concerti dal vivo.
Parliamo un po’ di quel gioiellino che è “The Great Calm”: è il vostro primo disco interamente autoprodotto, giusto?
Fenne Kuppens: Sì, è la prima volta che facciamo proprio tutto noi. Negli altri album c’era qualcuno di esterno che sapeva come muoversi e ci ha aiutato, poi dopo il secondo album ci sono stati diversi cambi nella line up della band per cui quello che era l’ingegnere dei primi due album è diventato il nostro bassista – ma è anche un produttore, quindi con lui nella squadra il processo è stato molto più semplice. Devo dire che è molto diverso dal lavorare con qualcuno di esterno, ci siamo sentiti molto più soddisfatti e a nostro agio nel fare tutto insieme. Nei primi due album non sapevamo bene cosa volevamo, eravamo anche un po’ ingenui, per questo cercavamo l’aiuto di qualcuno più esperto; se l’avessimo fatto anche per questo album sicuramente non avremmo fatto le stesse scelte, non sarebbe uscito il “The Great Calm” che conosciamo.
Oltre all’album è uscito un cortometraggio, “Balm (After Violence)”: com’è nata l’idea di crearlo?
In realtà volevamo solo creare tre video visivamente e tematicamente connessi l’uno con l’altro, ma ci è risultato più semplice fare un unico video da separare in tre parti. C’erano ovviamente diverse riprese in più che poi abbiamo utilizzato per il corto, che collega i video ancora di più.
I protagonisti di “Balm” sono alla ricerca di questa grande calma: diresti che l’hai trovata grazie a questo disco?
Penso che questo sia un processo che sta ancora andando avanti; sarebbe un sogno trovarla un giorno ma è difficile, c’è ancora tanto lavoro da fare! Scrivere questo disco mi ha sicuramente aiutata ad accettarmi e stare più tranquilla. A dire il vero, è comico pensarci perché quando ho iniziato a pensare a cosa potesse essere questa grande calma non ne avevo la minima idea, ma adesso riguardando tutto il lavoro fatto mi dico “oh, quindi per me significa questo”. Probabilmente tra cinque anni lo vedrò in maniera diversa, ma è davvero interessante pensare a come da un concetto del genere partano tante sfumature in continuo cambiamento.
Il modo in cui scrivi arriva dritto al cuore, direi che si vede che sei un’appassionata di poesia. Come hanno influito i tuoi studi di letteratura sulla tua scrittura?
Devo molto ai miei studi, ma allo stesso tempo mi hanno fatto passare l’amore per la letteratura per un po’. Dovevamo analizzare, anche troppo, leggere un sacco, riempirci la testa con tecnicismi. L’unica cosa che studiavamo, poi, erano le classiche vecchie opere di uomini bianchi.
Studiavate più con la mente che non con il cuore, insomma.
In un certo senso, sì. Ho iniziato ad amare la scrittura solo dopo aver finito di studiare, quando ho iniziato a farlo per conto mio. Amo però la poesia e amo leggere i lavori degli altri scrittori, vedere come anche solo due parole, se messe vicine, diano vita a un mondo di significati. Quando scrivo ho un sacco di libri di poesie sulla mia scrivania proprio per vedere come certi artisti siano riusciti a esprimere così tanto con così poco, è qualcosa che mi ispira ad andare avanti.
Qual è stata la difficoltà più grande da superare nella creazione di “The Great Calm”?
Scriverlo è stato intenso, direi. Le demo strumentali erano finite e avevo 20 canzoni da scrivere, ma facevo un sacco fatica a capire come volevo esprimermi. Mi sono aggrappata all’idea di cosa volevo dire – non potevo semplicemente lasciarmi andare e trascinare dalla creatività, sono una persona molto razionale. Alla fine di questo processo sono riuscita a lasciarmi un po’ andare, per fortuna. Purtroppo è stato un periodo molto difficile, ma è passato.
Il disco è un caleidoscopio di emozioni: qual è secondo te la canzone più emotiva?
Tutte hanno emozioni diverse, è vero, ma mi viene subito in mente l’ultima, “Try Me Again”. Ha un sacco di rabbia addosso ma anche accettazione di sé, in realtà è doloroso realizzare che ho dovuto scrivere un brano così intenso per arrivare ad accettarmi.
E un pezzo che rende particolarmente bene dal vivo?
Onestamente penso che tutte le nostre canzoni suonino meglio dal vivo, tranne forse quelle più tranquille! Le versioni registrate sono sempre uguali a se stesse, il che non è necessariamente un male, ma dal vivo c’è così tanto di più, senza contare anche la sinergia tra band e pubblico. Penso che non riusciremo mai a trasmettere l’intensità di un concerto tramite un album, sono due forme completamente diverse di fare musica. Siamo più una live band che una studio band, il che va benissimo perché amiamo suonare dal vivo!
Continuiamo il discorso live: con quale traccia aprite questo tour?
Con “Balm (After Violence)”, una canzone tranquilla. Ci piaceva l’idea di iniziare con un brano calmo, introduttivo, per creare piano piano l’atmosfera della serata. È un po’ il nostro modo di dire:“Questo è ‘The Great Calm’, benvenuti. Diamo inizio a una bella serata”. Poi l’album contiene tracce tutte diverse tra loro, è difficile trovare un equilibrio per la setlist – per il momento l’abbiamo trovato, lo terremo fino all’anno prossimo almeno (ride).
Ci sono invece dei brani che non sentite più vostri, che non vi sentite più di suonare?
Sì, le canzoni dei vecchi album sono così diverse da quello che abbiamo fatto in “The Great Calm” che è difficile adattarle al nostro nuovo sound, ma alla fine è un classico lato negativo dell’essere una band: devi comunque suonare canzoni vecchie, anche se non le senti più tue; sono comunque parte di noi, ma non rispecchiano chi siamo adesso. Tanto suoniamo giusto 2-3 canzoni vecchie che effettivamente stanno bene nella setlist, quindi va bene! Poi le abbiamo suonate già così tante volte che ormai è una routine per noi.
Tre motivi per cui qualcuno dovrebbe vedervi assolutamente dal vivo: vai.
Innanzitutto, danno qualcosa in più alla nostra musica, poi gli spettatori provano un sacco di emozioni e tornano a casa soddisfatti del concerto (almeno spero!). Non so, dovrebbero semplicemente venire a vedere come siamo dal vivo e non solo in cuffia!