Credits: Aigì

Un artista che seguo da tempo, una penna che conferma la versatilità della scena emergente nazionale, meritevole di assurgere a nuova luce senza essere relegata alla solita oscurità alla quale la discografia nazionale obbliga tutto ciò che passa attraverso le maglie strette della mediocrità: Aigì è un esemplare raro, un pesciolino solitario che non ha nessuna intenzione di lasciarsi irretire. “Mood-pop” ne è la dimostrazione: quindi, come potevamo non parlarne con lui?

Che bello averti qui con noi, Aigì, e poter parlare insieme di “Mood-pop”, un disco evocativo e capace di stimolare domande nell’ascoltatore senza la presunzione di poter (o dover) offrire risposte semplici a questioni spesso esistenziali. Ti sembra una buona definizione per il tuo disco?
Assolutamente sì! Il piacere è mio, comunque!

Proviamo a tracciare il percorso fatto da Aigì fin qui: terresti tutto com’è stato? Oppure cambieresti qualche scelta, qualche decisione che hai preso in questi anni di gavetta e ricerca?
Forse cambierei alcune scelte fatte con la fretta tipica dell’entusiasmo, ma ne faccio tesoro, quindi forse neanche quello.

Andiamo per ordine. Da dove nasce, “Mood-pop”? Già il titolo, di per se, sembra essere parecchio evocativo…
Nasce dall’intento di dare voce a diverse sfaccettature dell’esperienza interiore. Ogni canzone infatti rappresenta un mood diverso con sonorità via via diverse.

Ci racconti con chi hai lavorato alla produzione del disco? 
Certamente! Ho lavorato con il mio fedelissimo produttore, amico ed ex compagno di classe: Octavio Laria.

Le tracce sembrano quasi seguire un ordine emotivo, che dal particolare arriva al generale, o meglio dall’individuale al collettivo. C’è una sorta di “respiro generazionale” che attraversa tutto il disco, raccontando dolori e piaceri che sembrano essere condivisi, collettivi. Ti senti, in questo momento, parte di qualcosa? Di una generazione, di un movimento, di un cambiamento in corso?
Sì, mi sento parte di una generazione che viaggia senza punti di riferimento e che si trova in una congiuntura storica molto particolare, perché piena di crisi e di cambiamenti sensibili. Tracce di questo spaesamento sono presenti tra le mie canzoni.

Prova ad immaginare una versione di te diversa da quello che oggi sei: la musica è sempre stata il tuo unico sogno, oppure avresti voluto diventare qualcosa di “altro”, rispetto a ciò che sei? E se sì, cosa?
Da quando ero piccolo ho avuto diverse aspirazioni. A parte la più inflazionata (quella che avevo da bambino di diventare calciatore), tutte le altre convergevano sempre verso l’arte. Per cui, anche se è difficile immaginarmi senza la musica, credo che si tratterebbe sempre del campo artistico, in particolare della letteratura.

Senti, cosa ne pensi dell’attuale situazione discografica italiana? Che visione hai, per esempio, delle playlist editoriali? 
Credo che sia un aspetto un po’ triste di questa realtà. Certo, a volte si rivelano utili sia per gli artisti che per gli ascoltatori: nel caso degli uni perché allargano il bacino di ascoltatori, nel caso degli altri perché danno l’occasione di scoprire nuovi artisti. Ma a che prezzo? Noto con dispiacere che molti artisti finiscono col fare musica in base alla playlist di riferimento e che gli ascoltatori si ritrovano un’offerta molto simile, sia dentro che fuori dalle playlist. Il risultato mi sembra un’omologazione che lascia poco spazio a nuovi orizzonti musicali.

Da poco, Sanremo 2024 è uscito dalle nostre case e anche il Concertone del Primo Maggio è entrato negli archivi. Cosa ne pensi della line-up di quest’anno? Cosa ti è parso del festival, in generale?
Ci sono artisti che stimo molto, come Colapesce e Dimartino, Piero Pelù. Mi sembra una line-up piuttosto eterogenea e questo è sempre un bene dal mio punto di vista. Il festival? Sostituite Sanremo con playlist nella risposta precedente, aggiustate qualche concordanza e avrete la mia risposta.