Credit: Fabio Campetti

La storia dei Christian Death, che, a tutti gli effetti, sono un’icona fondamentale per il gothic rock, facendo parte di quella decina di artisti considerati pietre miliari per capire un movimento musicale, che, al di là dei gusti, ha segnato un’epoca, è di per sé una storia bizzarra, perché nati sostanzialmente come collettivo americano, in risposta all’ondata di band inglesi, che spopolavano ai tempi, collettivo capitanato da Rozz Williams, ma, già fin dal secondo disco “Catastrophe Ballet”, arrivò in line up anche Valor Kand, attuale titolare del moniker.

Pubblicarono due dischi insieme, quindi anche il successivo “Ashes” il terzo ufficiale, per poi dividersi, ma entrambi i collettivi mantennero lo stesso nome, licenziando lavori indistintamente, in realtà, solo per qualche anno, fino al 1994, che sancì la fine dell’ensemble americano, che subirà un’ulteriore battuta d’arresto con la scomparsa di Williams quattro anni più tardi.

Valor ha continuato festeggiando lo scorso anno, i suoi quattro lustri ufficiali di onorato servizio e devo dire che anche le ultimissime cose, pur sempre rimanendo confinati ad una comfort zone, appaiono ispirate e gradevoli, andando ben oltre le attese di un genere, a cui è difficile chiedere ancora qualcosa in termini di rinnovamento.

Anche l’attività live è andata di pari passo, portando in giro la propria missione, come filosofia di vita, perché questo era ed è il movimento legato a queste sonorità e ad un certo piglio estetico.

Quindi due date in Italia all’interno di un tour europeo, che li vede impegnati oltre al concerto di questa sera al Legend di Milano, li ha visti passare anche da Modena ieri sera.

In apertura, a condividere questa domenica di fine maggio, e sostanziale altro motivo per cui si è voluto raccontare questa serata, la presenza dei Pinhdar, di cui abbiamo spesso parlato su indie for bunnies, duo milanese a cui siamo molto affezionati, e di cui arriverà presto un’intervista frutto di una piacevole chiacchierata pre concerto.

Sicuramente titolari di uno dei dischi italiani dell’anno, ma non mi piace relegare il discorso al suolo italico, bensì, parlando in generale, un lavoro che si posiziona ai piani alti, rendendo giustizia e filo da torcere alla mole di proposte che arrivano dall’estero.

Ci sono riusciti con talento e indubbie capacità produttive e di scrittura.

Invitati ad aprire il concerto della band di Valor Kant, direi che ci può stare come abbinamento, sicuramente più raffinati e geometrici i Pinhdar e, come dire, non prettamente gotici (anche se tra le varie references si trovano reminiscenze in tal senso) come attitudine e dogma, ma ugualmente adatti per condividere questo tipo di pubblico.

Arriviamo un pò tardi e ci perdiamo il primissimo opener gli Eucaristia, band di Milano, quindi, la nostra serata, inizia appunto con i Pinhdar, che salgono sul palco per le 21,20, formazione live, che vede un batterista a supporto, a dare geometrie analogiche al sound elettro degli stessi.

Credit: Fabio Campetti

Suonano circa 35 minuti e lo fanno con il piglio giusto, nonostante non sia tutto perfetto, volumi un pò ballerini all’inizio, che migliorano man mano, nulla che possa compromettere alle canzoni di “A Sparkle On The Dark Water” di farsi apprezzare anche in questa dimensione. Tant’è che il pubblico apprezza eccome.

Le trame sonore di Max Tarenzi e la voce angelica di Cecilia Miradoli fanno la differenza, in setlist una piccola parte del disco nuovo, che è bello dall’inizio alla fine (difficile scegliere), spiccano “Human” e una conclusiva “Murderers Of A Dying God”, applausi veri.

Venti minuti di cambio palco, arrivano i padroni di casa, che, lo dico subito, fanno un bel concerto. Sono sicuramente e rimangono la proposta più estrema della corrente dark degli anni ottanta, vuoi per i testi eretici e per alcune scelte talvolta ostiche, diciamo, che in tal senso, non badano a spese.

Valor rimane l’eterno ragazzino, grazie ad un trucco efficace, a probabili interventi estetici, ma sta di fatto che l’impressione è che il tempo si sia parzialmente fermato.

Fanno un set di un’ora e poco più, un’ora e 15 minuti ad essere precisi, rigorosamente senza bis, dove mischiano cose nuove, come detto sopra, più che dignitose e ispirate, ad un passato fatto di canzoni manifesto, ci sarà anche quella che rappresenta una generazione, “Romeo’s Distress”, presa in prestito dal primo album (di fatto una cover) cantata da Maitri, arrivata nei Christian Death nel 1991 a prendere il posto dell’ex moglie di Valor, Gitane Demone, che ha segnato, a sua volta, un bel pezzo di storia di questo collettivo.

Diciamo che tra i superstiti di quell’epoca, forse, i Christian Death risultano essere tra i più interessanti, un pò per la simbiotica presenza delle due voci e un piglio estetico che colpisce, del resto, questi paladini di un genere che fu, aggiungono valore anche grazie al trucco e alla coreografia, che rendono le loro performance, almeno a mio giudizio, comunque divertenti anche per un neofita.

Chiusa la prima parte di scaletta dove spiccano sicuramente le ottime “Rise And Shine”, “Abraxas We Are” e “Blood Moon”, seconda parte ad omaggiare il repertorio più classico, oltre alla già citata “Romeo’s Distress”, anche “Face” da “Ashes”, “Cavity” dal primo album, per chiudere con un’ostica “This Is Heresy”

Bella serata, non solo per i fan più accaniti.