Ed eccoci all’ultimo, intenso giorno di questo Primavera Sound: un festival che quest’anno ha visto la partecipazione di ben 268.000 anime, quasi 20.000 in più rispetto all’anno prima – non ci sorprende nemmeno un numero del genere, considerando che anche solo venerdì da Lana Del Rey 100.000 persone almeno le abbiamo viste e percepite tutte, dalla prima all’ultima; per fortuna la visibilità dei main stage (Santander ed Estrella Damm) è gestibile se si sa sfruttare la pendenza della collinetta. In extremis, sempre siano lodati i maxi schermi (soprattutto se funzionano, non come l’anno scorso con Rosalìa).
Questo sabato inizia con un mood nostalgico, quello dei The Lemon Twigs, immediatamente seguiti dagli Slow Pulp. I primi usciti direttamente dagli anni ‘60 e ‘70, tutto sole cuore amore. Figli dell’alt-rock degli anni Novanta invece i secondi, con cui ci scateniamo da subito su pezzoni come “Cramps”.
Tanto amore anche per i Royel Otis (che portano sul palco una cover di “Murder On The Dancefloor”) e lo squisito punk rock degli Él Mató a un Policía Motorizado: atmosfera meravigliosa, energia da vendere, e un pubblico altrettanto piacevole. Quest’ultimo è stato particolarmente colorito all’interno dei tre giorni di festival: se per certi artisti (soprattutto in palchi più piccoli come Plenitude o Cupra) abbiamo trovato il classico pubblico ballerino, contento, pronto a scatenarsi all’occorrenza, in altri concerti ci sono stati episodi che hanno fatto storcere un po’ il naso, facendoci chiedere: come si sta evolvendo il pubblico musicale?
Prendiamo i Vampire Weekend, primo giorno: come abbiamo raccontato nel report è stato tutto meraviglioso, non fosse per delle giovani che hanno passato il tempo più a urlare (esageratamente) e ad abbaiare (letteralmente) che a godersi il concerto – rovinandolo, seppur in piccola parte, anche ad altre persone. Non solo i Vampire Weekend: diversi sono i casi analoghi, come persone che urlavano insistentemente “Madre!” o cose piuttosto inappropriate (a tratti imbarazzanti) a Mitski nella prima parte del suo ultimo tour. Parliamo di una generazione figlia di TikTok (perlopiù ragazzini che non avranno più di 20 anni, almeno spero) a cui probabilmente manca un’educazione ai concerti, sempre meno interessata a determinati generi musicali (persino mostri come i Depeche Mode l’anno scorso o PJ Harvey quest’anno sono stati piuttosto ignorati dai più giovani) o più semplicemente si dimenticano di non essere gli unici presenti a un evento, e quindi pensano di poter fare quello che preferiscono. Oppure è una delle conseguenze della (passatemi l’orribile neologismo) coachellizzazione del Primavera? Sarà il tempo, insieme alle prossime edizioni, a stabilirlo.
A parte qualche raro caso, comunque, per fortuna al Primavera non ci sono stati eventi troppo strambi come quelli sopracitati – e comunque, se successi, è stato principalmente nel pubblico di headliners come Vampire Weekend, Mitski e Lana Del Rey. Quelli andati virali su TikTok, insomma. Per il resto, c’è proprio una bella atmosfera: nessuno schiaccia nessuno, c’è rispetto per i poghi, ancora più aiuto e rispetto per i temerari che si cimentano nello stage diving, com’è accaduto dagli American Football sabato. Il loro probabilmente uno dei concerti più emo di sempre, la pioggia con “Never Meant” di sottofondo resterà uno dei momenti clou di questo festival. Pioggia che però non ha minimamente tolto agli spettatori la voglia di far festa, soprattutto da Liberato: armato di dialetto e inaspettati sample come “Candy” di Rosalìa e “Immaterial” di SOPHIE, ha dato vita a uno spettacolo pieno di mashup sorprendentemente creativi, che hanno infiammato i cuori di italiani e spagnoli (probabilmente confusi quando l’artista urlava frasi in napoletano, ma non per questo meno divertiti).
Se Liberato sotto la pioggia è una festa danzante, PJ Harvey e Mitski sono delle letterali forze della natura: autentiche, potenti, impressionanti. Mitski forse non ha fatto centro con le rivisitazioni di alcuni suoi pezzi (a parere della sottoscritta) intoccabili, come ad esempio la versione samba di “Pink In The Night” o quella country di “I Don’t Smoke”. Queste combinazioni risultano comunque interessanti per quanto strambe, lei si diverte portando avanti uno show di tutto rispetto che coinvolge anche coreografie particolari (principalmente ispirate a danze giapponesi tradizionali). PJ Harvey, impeccabile. Nulla può essere paragonato al sentire “Send His Love To Me” dal vivo o “Black Hearted Love” (che non faceva dal 2009!); magistrale poi “The Desperate Kingdom of Love” dedicata a Steve Albini, introducendola così: “Vorrei cantare la prossima canzone in memoria di Steve Albini. Steve sarebbe dovuto essere qui per il festival, e sarebbe bello se tutti dedicaste un pensiero a lui”. Meravigliosa, brividi a ogni secondo.
Le donne protagoniste di questo gran finale del Primavera non finiscono qui: c’è SZA, diva RnB al suo primissimo concerto in Spagna, Roìsìn Murphy (a cui assistono molte meno persone del previsto, nonostante una buona performance), Romy (con un set bello movimentato), le Bikini Kill (tranquillamente tra i live migliori di quest’edizione), le Atarashii Gakko! e Charli XCX.
Mi permetto una parentesi sul quartetto giapponese, che non a caso vi avevamo già consigliato: pazze. Meravigliose. Coreografie curate al dettaglio, tantissima autoironia, energia da vendere, unione egregia tra tradizione e cultura idol. In tre giorni di festival, non credo di aver visto il palco Cupra circondato da così tante persone – fortunatamente c’è anche la comoda gradinata da cui poter vedere tutto e oltretutto l’acustica è buona, quindi non c’è rischio di non godersi lo spettacolo.
Tocca qualche cinzano per caricarci per Charli XCX – grazie al cielo le code per i bar non sono esagerate perché sono molti gli stand a cui rivolgersi, e i costi non sono folli – acqua a parte, che viene 3 (3!) euro, ci sono delle fontanelle, ma sono così poche che le file per raccoglierla sono chilometriche (assurdo, in un contesto del genere).
Comunque, cinzano preso e parte il delirio per Charli, in una folla che sembra non avere fine (sorprende infatti che non sia su uno dei main stage). La diva pop emerge dall’Amazon Music, esaltata da una marea di persone strette come sardine, dove tra salti e balli frenetici respirare diventa quasi un lusso. Lei spettacolare, ormai ha raggiunto uno status per cui può fare quello che vuole e ne è perfettamente consapevole – forse un po’ troppo, visto che ha concluso il concerto ben 20 minuti prima della chiusura prevista. A malincuore però glielo concediamo, perché ha comunque dato vita a un concerto spettacolare, con tanto di anticipo dal nuovo disco “brat”, in uscita il 7 giugno. Sorprende che non abbia messo in scena neanche un singolo pezzo dall’ultimo disco “Crash”, dando invece più spazio a “brat” e a remix e cover varie, come “Welcome To My Island” di Caroline Polachek o l’indimenticabile “I Love It” con le Icona Pop.
Si conclude così questo Primavera, tra la sensazione che sia passato tutto troppo di fretta e l’amarezza – non solo per la chiusura anticipata di Charli, ma anche per il fatto che diversi artisti come Kim Petras e FKA Twigs abbiano dato buca, e neanche mezzo sostituto è stato preso… A noi poco importa (per quanto ci sarebbe piaciuto vederla, assolutamente), ma non sono pochi coloro che avevano acquistato il biglietto solo ed esclusivamente per lei (che dà forfait per il secondo anno consecutivo). Quel che ci resta però è anche tanto amore, gli artisti che si donano nei modi più svariati e belli possibili, le pause al sole in collinetta per riprendersi tra un concerto e l’altro. Anche quest’anno grazie Primavera Sound, di cuore.