Scrivere di un nuovo album di Mr. Lenny Kravitz rappresenta sempre un esercizio un po’ ostico, soprattutto negli ultimi anni, considerata la percezione “pop” del personaggio in questione. Epperò, l’artista statunitense è anche figura dotata di gran talento ed oltremodo ossequiosa verso quella che un tempo sarebbe stata definita black-music.
Proviamo a mettere subito le cose in chiaro: “Blue Electric Light” è un album che nulla aggiunge e nulla toglie alla carriera – oramai trentennale – del Nostro e che si mantiene, più o meno, sugli stessi livelli delle ultime produzioni sfornate dal caro vecchio Lenny. Ciò detto, il dodicesimo lavoro in studio del polistrumentista newyorkese è un disco che trasuda energia sonora da ogni nota e che si affaccia dalle parti del Prince più Ottantiano e danzereccio (nulla di nuovo all’orizzonte) ma con un tocco moderno che conferisce all’opera in questione un’aura decisamente contemporanea (del resto, viviamo in un’epoca di eterno revival).
La title-track, per esempio, vorrebbe essere una sorta di oltraggiosa “Purple Rain” degli Anni Venti. Almeno nelle intenzioni. Per carità, la schitarrata finale sarebbe pure gradevole, ma i “mostri sacri” sono tali anche e soprattutto per la loro inaccessibilità. Poco da dire. “TK421″, invece, è una sorta di funk-rock tiratissimo e glitterato in cui Kravitz mette in evidenza il proprio talento compositivo: nulla di trascendentale, sia chiaro, ma si tratta comunque di uno dei brani più riusciti del lotto. E lo stesso discorso, se vogliamo, potremmo estenderlo anche alla luccicante “Human”.
Il fantasma di Prince torna a farsi rivedere in quella marcetta tutta synth e tastierine che risponde al nome di “Let It Ride”, un pezzo che possiede uno dei refrain più incisivi della tracklist, ma che non riesce mai a decollare come ci si aspetterebbe. Con “Paralyzed” Lenny Kravitz prova ad reindossare le vesti pop-rock degli Anni Novanta: esperimento apprezzabile, non c’è che dire, ma riuscito a metà.
Va da sé, naturalmente, che aspettarsi chissà quali rivoluzioni da un nuovo album del musicista statunitense equivale un po’ a voler cercare il Sacro Graal nella curva di uno stadio di Calcio: il rischio, in pratica, è quello di aspettarsi più del dovuto da un artista che oramai ha già detto tutto quello che aveva da dire, pur viaggiando con delle marce tutto sommato accettabili. Ed allora “Blue Electric Light” va ascoltato per quello che è: ossia, l’onesto prodotto sonoro di un sessantenne in splendida forma e dal talento indiscutibile.
I tempi gloriosi di “Always On The Run” o di “Are You Gonna Go My Way” appaiono piuttosto lontani, ma al Lenny Kravitz attuale potrebbe fregargliene il giusto.