La carriera dei Blushing, fenomenale band di Austin, Texas, continua sempre più lanciata verso l’alto. Se il precedente album “Possessions” aveva consolidato la qualità del quartetto, ora questo nuovo “Sugarcoat” alza ancora di più l’asticella, che si attesta su un livello decisamente importante ed emozionante. Al terzo atto di una discografia, fin qui, molto convincente, i Blushing raggiungono quindi il loro apice qualitativo. Capace di togliersi di dosso i continui (e limitanti) paragoni con i Lush, il quartetto americano questa volta abbraccia gli anni ’90 nella sua interezza, ampliando i riferimenti anche a formazioni che sulla carta d’identità non espongono il marchio shoegaze. Ne risulta un disco molto potente, accattivante, vivace e dannatamente esuberante, in cui la band da il meglio di sé nella costruzione di melodie capaci di entrare subito in circolo. Non solo chitarre soniche ma anche accenni più dream o psichedelici fanno capolino: tutto è calibrato alla perfezione. Non si poteva non approfondire il discorso con loro e il gruppo, al completo, risponde, in modo molto esauriente, alle nostre domande.
L’intervista, nella sua forma originale, è contenuta su Rockerilla, n° 525 maggio 2024.
Il terzo album è arrivato. Ma l’eccitazione per un disco in uscita o, comunque, appena uscito è sempre alta o vi state abituando?
Christina: Pubblicare musica è sempre un momento eccitante, soprattutto quanto più a lungo si è in attesa, con un disco pronto.
Michelle: L’eccitazione non si attenua mai. Ogni volta è come se fosse Natale, solo che invece di aspettare un anno, stiamo aspettando questa uscita da due anni! Siamo così entusiasti che sia finalmente il momento sia arrivato. È il culmine di anni di duro lavoro e se mai questo percorso ci fosse sembrata una routine, beh, probabilmente avremmo dovuto smettere prima.
Non sono un musicista, ma ho letto spesso che il terzo album è sempre il più difficile per un artista o un gruppo. È vero?
Michelle: Tutti i nostri album sono stati difficili, a dire il vero! Non so se sia stato a causa del fatto che si trattava del terzo album o forse perché se siamo solo quattro persone con vite belle piene che cercano di incastrare le loro attività creative tra le richieste della nostra società capitalista, ma, in questo caso, il processo di registrazione è stato decisamente impegnativo per noi in termini di tempo ed energia. Scrivere l’album è stato abbastanza facile, abbiamo sempre queste esplosioni di prolificità creativa in cui la band condivide nuove idee ogni giorno, poi prima che ce ne accorgiamo veramente abbiamo un album di canzoni ed è ora di andare in studio. A quel punto gli ingranaggi si possono bloccare, perché dobbiamo assicurarci di avere un tempo da dedicare allo studio e alla registrazione, tempo in cui la maggior parte di noi deve essere presente. Siamo tutti molto attivi e ci piace essere presenziare ad ogni sessione di registrazione, anche solo per stare seduti per ore a bere birre e ad ascoltare. Non abbiamo registrato “Sugarcoat” in una maratona di due settimane in cui abbiamo staccato la spina, siamo entrati in uno studio e siamo usciti con un album completo. L’abbiamo registrato di sera o nei fine settimana, per qualche ora alla volta, quando potevamo organizzarci. Questo è comodo per certi versi, ma può essere fastidioso per altri. Sicuramente ci ha permesso di riflettere sulle registrazioni iniziali e di apportare modifiche, nonché di scrivere una nuova canzone (“Slyce”) che è stata aggiunta all’album all’ultimo.
Per parlare di questo nuovo album, inizierei con i due punti fermi del sound, ovvero Elliott Frazier e Mark Gardener ed è giusto dire che in realtà c’è anche un altro elemento ben noto che ha realizzato la copertina, ovvero Jari Johannes: non volevate cambiare la squadra vincente, vero?
Michelle: Trovare persone con cui lavorare che comprendano la nostra visione è molto importante, a tal punto che una volta messo insieme un team di cui ci si fida e che ha dimostrato di volere il meglio, beh, bisogna tenerselo stretto. Elliott ha un talento evidente per la produzione, è in grado di spargere gli ingredienti segreti su una canzone e di farla diventare da buona a spettacolare. Lo considero, per molti versi il quinto membro della band, perché il suo contributo è realmente profondo in ogni brano. Suona gli strumenti e canta le armonie su più brani. Mark è bravissimo a sapere come vogliamo che suoni l’intero disco e ad assicurarsi che ogni brano rappresenti quel suono nel suo insieme, restituendo un album completamente formato che è coerente ed equilibrato ogni volta. Sono stata una grande fan dei lavori di Jari per anni prima di chiedergli di realizzare la copertina di “Possessions”. Eravamo così soddisfatti del risultato che l’abbiamo contattato di nuovo per “Sugarcoat” e lui non ci ha deluso. Non volevamo la tipica copertina con un’immagine sfocata e sgranata. Volevamo una copertina audace, colorata e definita, proprio come l’album stesso.
Forse questo è l’album in cui definirvi solo “shoegaze” sarebbe davvero riduttivo. Avete una padronanza assoluta degli anni ’90, ma non vi fermate qui: quando nel comunicato stampa si citano band come Elastica o Veruca Salt (che non sono certo shoegaze), non è per “ingannare” l’ascoltatore, ma perché le vostre influenze sono davvero ampie e sofisticate. Mi sbaglio?
Michelle: La maggior parte di noi si è avvicinata allo shoegaze molto tempo dopo aver scoperto molti altri generi. Quindi le nostre prime influenze sono state band come Nine Inch Nails, Deftones, Smashing Pumpkins, Hole, Veruca Salt, Elastica, Sonic Youth, ecc. Sono state tutte le band classiche degli anni ’90, ma anche un programma storico come 120 Minutes su MTV, a plasmarci. All’epoca conoscevo sicuramente lo shoegaze, ma non ha certo indirizzato la musica che faccio oggi tanto quanto quelle altre band. Quando io e Christina abbiamo iniziato a suonare insieme non avevamo idea di cosa volessimo suonare, il suono gravitava naturalmente verso il genere shoegaze, ma credo che pensassimo davvero di fare solo musica alternativa. Poi qualcuno ci ha etichettato come shoegaze ed è così che siamo stati conosciuti come band. Certamente ci piace essere accostati a questo genere, è divertente fare musica rumorosa, ma il cuore dei Blushing è il desiderio di far ascoltare le nostre melodie. Lasciami dire che, volutamente, commettiamo il peccato cardinale dello shoegaze, quello di avere voci limpide e chiare ma perché siamo davvero orgogliosi delle linee melodiche che produciamo dal punto di vista vocale, ma alla fine della giornata possiamo dire che stiamo ancora facendo la musica alternativa che ci ha ispirato.
“Tamagotchi” è stato il primo singolo: un biglietto da visita pazzesco! Avete sempre avuto in mente che quel brano sarebbe stato il primo singolo? Lo trovo perfetto perché è come se racchiudesse tutte le caratteristiche del vostro disco: è super melodico, ha gli arpeggi ma anche le chitarre arrabbiate, ha i break e poi c’è lo shoegaze e il favoloso lavoro sulla voce e sulla batteria mi fa impazzire. Insomma, secondo me avete fatto benissimo a pubblicarla come prima traccia. Cosa ne pensi?
Christina: “Tamagotchi” è stata la prima canzone che abbiamo iniziato a scrivere per questo disco. Non abbiamo mai perso l’entusiasmo iniziale che avevamo per questa canzone, quindi per noi aveva senso che fosse il primo singolo.
Michelle: Grazie per l’analisi così attenta sul brano! Non abbiamo deciso i singoli fino a quando non abbiamo finito l’album, ma siamo sempre stati d’accordo sul fatto che “Tamagotchi” fosse una delle nostre canzoni preferite. Adoro il fatto che ci permetta di mostrare il nostro amore per la musica quasi sognante, pesante e melodica in un colpo solo, quindi secondo me sì, è stato il primo singolo perfetto per l’intero album.
“Seafoam” vede la partecipazione di un artista che amo molto, Jeff Schroeder. Molti lo conoscono per il suo lavoro con i Pumpkins, ma io lo amo e lo ricordo ancora con piacere per The Lassie Foundation. Immagino che anche voi amiate i Lassie Foundation. Avete chiesto a Jeff un certo tipo di suono per la sua partecipazione al vostro album?
Michelle: Sì certo, amiamo i Lassie Foundation, ricordo che Elliott ce li fece ascoltare in studio quando stavamo registrando il nostro primo album molti anni fa. Una cosa che Elliott adora fare è terminare ogni sessione di registrazione tirando fuori YouTube, ampliando la sua (e la nostra) conoscenza di tante grandi band oscure. Saranno state le 3 del mattino ed eravamo tutti stanchi e desiderosi di tornare a casa e lui, mentre ci avviamo verso la porta, stava ancora guardando video musicali di gruppi che avremmo dovuto ascoltare e a cui avremmo dovuto ispirarci: a questo punto mi venne il sospetto che lui proprio non dorme mai. Comunque mi ricordo bene dei Lassie Foundation e ne siamo rimasti affascinati. Non abbiamo dato a Jeff alcuna indicazione, gli abbiamo solo presentato la traccia grezza e gli abbiamo detto: “Ci piacerebbe che tu facessi parte di questa canzone, fai quello che vuoi“. Non avevamo idea di cosa ci avrebbe risposto, ma ovviamente è stato fantastico e ha dato a “Seafoam” una dinamica così fresca che non avevamo mai avuto in nessuna delle nostre canzoni.
Le chitarre sono sicuramente importanti in questo disco, ma sai che adoro anche il modo in cui suona la batteria? È così potente! E poi quanti cambi di tempo, quanta vivacità. In questo disco la sezione ritmica è meravigliosa. Immagino sia stata una scelta deliberata, vero?
Jacob: Non vado mai in studio pensando esattamente a come sarà disposta la batteria. Ci sono così tante cose che possono cambiare durante il processo. Quando scrivo, mi adatto sempre all’energia e alla cadenza del basso e della voce. Questo disco è sicuramente più aggressivo proprio in tutti gli strumenti e direi anche per la voce, quindi siamo riuscito ad adattare al meglio il suono.
Christina: Sapevamo di voler mettere un po’ più di energia in questo disco, quindi mi sono ispirata a canzoni con pattern di batteria e bassline trascinanti. Ho ascoltato Garbage, Curve, Elastica e Republica per trarre ispirazione dalle linee di basso e dalla voce.
Negli anni ’90 c’era una band chiamata Catherine, non so se ve la ricordate. Il loro primo album si chiamava “Sorry!”. La stampa li descriveva come gli Smashing Pumpkins che suonavano shoegaze. Sai che a volte mi ricordate un po’ il loro sound?
Michelle: Non avevo mai sentito parlare dei Catherine, così ho deciso di ascoltarli e, beh, che bel complimento Riccardo, sono fantastici. Ascoltare gruppi così validi, di un tempo ormai lontano, mi rende, in un certo senso, anche un po’ triste, perché avrebbero meritato un riconoscimento maggiore, ma mi entusiasma l’idea che la scoperta di nuova musica sia ancora possibile e che nuovi gruppi si ispirino ancora chiaramente a questo sound. Ho scoperto da poco un gruppo simile degli anni ’90, i Jale, che scrivevano canzoni dolci e sfocate e non sai come mi fa arrabbiare il fatto di non averli mai sentiti nominare ai tempi del loro splendore.
Le canzoni sono brevi, con un solo brano che supera, a malapena i quattro minuti. Volevate canzoni che andassero dritte al punto, immagino…
Michelle: Sì, credo che per me sia stato un po’ un punto di svolta rispetto ad alcune delle nostre canzoni precedenti che tendevano a dilungarsi un po’ troppo. Sono cresciuta ascoltando il punk e quindi ho una naturale avversione per le canzoni lunghe. Con questo album abbiamo voluto ridurre al minimo i riempitivi nel brano stesso, arrivare al cuore del pezzo e far arrivare subito il messaggio.
Il suono di “Silver Teeth” mi fa venire in mente i My Bloody Valentine. È una canzone che adoro. Forse una delle più belle della vostra discografia. Quanto è importante la band di Kevin Shields nella creazione del vostro sound?
Michelle: “Silver Teeth” è una delle nostre preferite. La “gestiremo” come fosse un quarto singolo, anche se non verrà pubblicato ufficialmente come tale. Abbiamo anche realizzato un piccolo video musicale perché ci piace così tanto e non vediamo l’ora di condividerlo il giorno stesso dell’uscita dell’album. I MBV sono fantastici e Kevin è chiaramente un autore straordinario, ma non credo che nessuno di noi stesse pensando a loro quando abbiamo scritto “Silver Teeth”. Almeno non consapevolmente, sono sicura che da qualche parte c’è l’influenza dei MBV, ma per questa canzone, almeno dal punto di vista melodico, volevo solo scrivere un testo che scivolasse bene sopra l’assalto della chitarra. È una canzone davvero speciale perché vi canta Elliott e di solito non abbiamo voci maschili, quindi credo che le conferisca una particolarità unica.
“Sugarcoat” è forse il brano più cupo dell’album, sembra una discesa negli abissi in cui l’ascoltatore viene trascinato giù. Come è nata questa canzone così evocativa?
Michelle: Come la maggior parte delle nostre canzoni, anche questa è nata come demo strumentale. Noe l’ha caricata sul nostro disco condiviso e ricordo di averla ascoltata e di essere entrata quasi in trance perché ero, come dici tu, trascinata nella profondità del suono. Ricordo di averla importata immediatamente su GarageBand e di aver preso un microfono per registrare le parti vocali, perché le idee per la melodia mi arrivavano a fiumi. Credo che questa canzone sia stata una delle più facili da finire perché era già completamente formata e il giorno dopo avevo già la melodia e il testo. A volte le canzoni richiedono una quantità di tempo immane per essere scritte, arrangiate e finalizzate, mentre a volte nascono in 24 ore. Il testo di questa canzone è stato molto catartico, perché ho sempre scritto i testi delle canzoni più personali e anche dolorose da una prospettiva personale, ma ho deciso di provare a scrivere da una prospettiva diversa. È stata scritta infatti con l’occhio del partner coinvolto in un tradimento, tenuto all’oscuro e frustrato dalla situazione.
Christina: Tutto è iniziato con la linea di basso. Noe ha avuto un’esplosione di ispirazione ascoltando una canzone di Bjork e l’ho sentito lavorare su una parte di basso. Mi sono unita a lui e l’abbiamo elaborata insieme, poi abbiamo continuato. La canzone è piuttosto minimale, e credo che in un certo senso contribuisca alla sensazione di oscurità. È una delle mie canzoni preferite del disco. Mi piace molto potermi concentrare e divertire a suonare il basso, mentre Michelle può letteralmente brillare dal punto di vista vocale.
Il disco è ricco di sonorità e siete in grado di variare tra i generi, ma una cosa mi sembra costante, proprio come avete accennato, ovvero la costante ricorrenza della melodia. Forse mai come in questo terzo album, anche in mezzo a una batteria potente e a delle chitarre rumorose, avete trovato melodie vincente e ritornelli riconoscibile, praticamente in ogni brano. Posso dire che questo è il vero vostro perfetto marchio di fabbrica nel nuovo album?
Michelle: L’attenzione alla melodia è qualcosa che, come ti dicevo, mettiamo sempre in primo piano, tutti amiamo i ritornelli memorabili e mi sento molto fortunata a far parte di una band in cui tutto è così calibrato che scrivere melodie viene facile. Le canzoni che Noe, Christina e Jake stanno scrivendo sono così spontanee che le melodie saltano fuori immediatamente. La mia melodia preferita dell’album è quella che Christina ha scritto per “Slyce”, il cui ritornello mi rimane ancora, fortemente, in testa un anno dopo che l’abbiamo registrato. Sono grata di avere compagni di band che hanno un talento che va oltre la mia comprensione.
Christina: Michelle ha davvero un orecchio speciale per le melodie e riesce a scriverle così velocemente, cosa che ritengo incredibile! La melodia è parte integrante del nostro songwriting e quando una nuova canzone mi si blocca in testa so che stiamo andando nella direzione giusta.
Mi piace molto la scelta di concludere l’album con queste tre canzoni (“Pull You In Two”, “Charms” e “Debt”). Sono tre brani magnifici e sono un esempio di quello che dicevo prima, ovvero che non c’è solo lo shoegaze come fonte di ispirazione. Sono canzoni in cui sento il vostro lato più indie-pop ma anche un lato più etereo e psichedelico, con “Charms”, ad esempio. La cosa mi è piaciuta perché sembra proprio che non abbiate voluto concludere il disco con il vostro lato più forte, ma con il vostro lato più morbido…cosa ne pensi?
Michelle: Assolutamente sì, abbiamo deciso di concludere l’album su una linea più rilassata e indie pop. Abbiamo deciso di rendere l’album un po’ più carico, con le canzoni più energiche e pesanti, all’inizio e quelle più tranquille e sognanti alla fine. È stata una decisione consapevole quella di dividere l’album e lasciare che l’ascoltatore concludesse l’esperienza di ascolto con un’atmosfera più sognante.
Sono sicuro che vi piacciono tutte le canzoni dell’album, ma ce n’è una in particolare che vi entusiasma?
Jacob: Sicuramente “Silver Teeth”: alcune canzoni shoegaze o alt-rock più pesanti possono avere riff importanti e suoni di chitarra incredibili, ma la voce può facilmente perdersi nel brano. Volevo vedere se potevamo avere un brano completamente heavy ma mantenendo la stessa attenzione alla melodia che abbiamo in ogni altra canzone che scriviamo. È il mio brano preferito dell’album. Christina: “Sugarcoat” è davvero speciale per me perché spinge forte il nostro sound in un territorio a cui avevamo solamente accennato in precedenza (penso a canzoni come “The Fires” o “Bed”). È uno stato d’animo così diverso che dà una sorta di svolta sonora all’album.
Michelle: La canzone “Fizz” ha un posto speciale nel mio cuore perché in origine era una canzone chiamata “Ache” che era nata come demo per il nostro disco precedente, “Possessions”, ma non era ancora pronta. Abbiamo continuato a lavorarci e da canzone sognante e slowcore si è evoluta in questa canzone quasi punk, così insolita nella cadenza e nella melodia rispetto a tutto ciò che avevamo fatto in precedenza. Pensa che, proprio per questo, all’inizio l’ho trattata come un brutto anatroccolo. Abbiamo lavorato duramente per farla funzionare e alla fine ha preso vita. Noe ha aggiunto un riff di chitarra melodico e Christina ha scritto una bassline molto simile a quella dei Green Day, che secondo me le conferisce un’atmosfera unica che non assomiglia a nulla di ciò che abbiamo fatto prima. Siamo spesso paragonati ai Lush, cosa di cui siamo sempre lusingati; a volte però penso che potremmo anche scrivere una canzone country ed essere comunque paragonati ai Lush, ma poi, quando scriviamo canzoni come “Fizz”, sono orgogliosa del fatto che riusciamo ancora a scrivere brani fuori dagli schemi e dai generi, che ci permettono di dare sfogo alla nostra creatività.
Noe: Lavorare a “Seafoam” è stato davvero emozionante. È sempre stato uno dei brani preferiti del disco, ma quando Jeff Schroeder ha accettato di collaborare ero davvero entusiasta. Sono davvero orgoglioso di come è venuto fuori questo brano.
State già pensando a come presenterete questi brani dal vivo? Riusciremo a vedervi in Europa?
Michelle: Abbiamo debuttato “Tamagotchi” e “Seafoam” dal vivo l’anno scorso durante il tour in Giappone, quindi sono già pronte per i nostri prossimi tour, stiamo pensando di aggiungere le altre canzoni al nostro set, ma dobbiamo lavorarci su. È strano come si possano scrivere e registrare canzoni anni prima di suonarle dal vivo, quindi bisogna reimpararle e capire come suonarle insieme come band, ma ci stiamo arrivando. Abbiamo prenotato un tour nel Regno Unito con Ringo Deathstarr per settembre. Per quanto riguarda l’Europa, al momento non abbiamo in programma nulla, ma finalmente abbiamo un agente di booking proprio per i paesi europei, quindi speriamo che il 2025 ci veda tornare lì per un tour completo e magari qualche festival.
Grazie ancora ragazzi per la vostra gentilezza. Sono davvero felice ed emozionato per queste bellissime risposte. La mia ultima domanda è una curiosità, forse sciocca. Voi siete un quartetto composto dalla doppia coppia marito e moglie. Mi chiedevo se fosse mai capitato, magari nel prendere certe decisioni, che le mogli si schierassero “contro” i mariti?
Michelle: Grazie a voi! Per la tua curiosità, beh, penso che quello che tu dici succeda la maggior parte delle volte! Io e Christina siamo molto in sintonia in merito a tutto ciò che riguarda la band. Attenzione, non voglio dire che i ragazzi non ci seguano, ma, di solito se i ragazzi hanno in mente qualcosa con cui Christina e io non siamo necessariamente d’accordo lo si nota subito e allora lo risolviamo. Ma questo non vuol dire che prendiamo sempre la strada che vogliamo noi. Ogni persona presenta le proprie idee in modo uguale e se ne discute. Può essere noioso ammetterlo, ma nel nostro gruppo c’è pochissimo attrito. Siamo estremamente democratici nel processo decisionale. Più spesso le discussioni accese avvengono tra le coppie sposate, e di solito si tratta di qualcosa di semplice come l’ordine della scaletta o chi sta suonando una nota sbagliata, poi si passa oltre. Non c’è una persona o una coppia che abbia una gerarchia nella band: tutti abbiamo messo in campo un enorme lavoro creativo, fisico ed emotivo per dar vita ai Blushing, quindi quando ci troviamo e ci esercitiamo, non solo suoniamo ma ci godiamo anche la presenza di persone che apprezzano i frutti di tutto questo lavoro. Ovvio che se Jake cerca di dirmi che devo premere un certo pedale in un certo momento posso anche guardarlo di traverso, ma in modo molto immacolato!