Negli anni ’90 la carriera dei Santana, gruppo che nel corso dei decenni (sin dagli esordi sul finire dei ’60) si è sempre più identificato con il chitarrista e fondatore messicano Carlos Santana, sembrava vivere un momento di stallo, lontanissimo per numeri ma soprattutto per ispirazione dai capolavori infilati in serie soprattutto nel decennio dei ’70.
Le sue seducenti linee melodiche, che ne avevano fatto una sorta di guitar hero ante litteram, sembravano ormai roba da vetusti appassionati rockers, non in grado di attecchire presso un pubblico più vasto e soprattutto più giovane. Nella sua lunghissima carriera Santana aveva molto spesso cercato collaborazioni che potessero dare slancio alle sue intuizioni e sorreggere al meglio i suoi brani, via via abili a virare su diversi fronti del rock, dando il là a un sottogenere che può voler dire tutto o niente, vale a dire il latin rock, ma che nel suo caso ci viene in soccorso in maniera credibile per cercare di racchiuderlo in una definizione.
Mai però aveva provato a varcare territori che abbracciassero colleghi più eterogenei e lontani apparentemente dal suo mondo, o per lo meno non il massiccio dispiego di forze messo in campo per la realizzazione di un progetto assai ambizioso: quello che avrebbe portato esattamente 20 anni fa alla pubblicazione di un album come “Supernatural”.
In realtà l’idea di coinvolgere artisti per lo più contemporanei (e di grossa presa commerciale, specie nelle due Americhe) fu originariamente partorita da Clive Davis della Arista Records ma ben presto Carlos capì che avvalendosi di certe collaborazioni avrebbe potuto dare una nuova svolta alla sua carriera.
Basta scorrere l’elenco dei musicisti, artisti e produttori che hanno risposto alla sua chiamata per rendersi conto di come il nome Santana fosse ancora sinonimo di qualità e di spessore, quasi impossibile in fondo da rifiutare. E difatti furono in moltissimi a comparirvi accanto in questo disco.
Il mirabile connubio del chitarrista con colleghi tanto diversi fra loro, ha finito per regalare un album godibilissimo, coeso nonostante appunto fosse evidente lo scarto stilistico – meno quello meramente qualitativo, è bene sottolinearlo – tra un brano e l’altro. D’altronde quando al tuo fianco scende in pista gente come Dave Matthews, Lauryn Hill, Everlast, Rob Thomas, Eagle – Eye Cherry e persino un altro mito della chitarra come Eric Clapton, i risutati difficilmente avrebbero potuto deludere le aspettative. Tuttavia, a svettare e dare omogeneità e riconoscibilità a tutto il lavoro, è proprio la chitarra di Santana, finalmente in forma come ai bei tempi. Un Santana pienamente a suo agio, in sintonia con tutti gli ospiti e che lascia trasparire una purezza e una gioia nel suonare che, se è vero che l’hanno sempre contraddistinto, ciò nondimeno non smette di stupirci dopo tutto questo tempo.
Elencare i titoli di un album capace di mettere in fila qualcosa come 30 milioni di copie in tutto il mondo, facendo incetta di Grammy Awards e di record in serie, suona quasi pleonastico. Furono ben sei i singoli estratti dall’album, alcuni di notevole, finanche strabordante successo: su tutti l’apripista “Smooth” con il contributo della graffiante voce di Rob Thomas, i cui Matchbox 20 in Europa magari hanno lasciato poca traccia ma negli Stati Uniti ebbero un’eco vastissima, con un successo clamoroso di pubblico. Rimangono a lungo nell’immaginario collettivo anche l’intensa “Corazon espinado” eseguita assieme ai messicani Manà , che parlano la stessa lingua latin rock del titolare del progetto, la sinuosa “Maria Maria” con le voci soul di The Product G&B e le splendide ballate intrise di rock “Love of My Life”, dai toni jazzistici e “Put Your Lights On”, che vedevano impegnati rispettivamente Dave Matthews e il batterista Carter Beauford (della Dave Matthew Band) e il cantautore rapper Everlast. E come dimenticare una “Do You Like the Way”, dominata dai fiati e dalle voci mozzafiato di Lauryn Hill e Cee-Lo?
L’album si lascia ascoltare dall’inizio alla fine, senza incorrere in inciampi e riempitivi, incantando in pezzi meno “commerciali” e radiofonici come la strumentale e a tratti struggente “El Faro” o in “Migra”, vero tripudio di suoni latino americani, dove il chitarrista da’ libero sfogo a tutto il suo estro. E’ la prima parte del disco che pare essere stata pensata come raccolta di future hit, mentre nel finale rappresentato dal trittico “Primavera” (il singolo più coraggioso dell’album), “The Calling”, con i due assi Santana e Clapton a dialogare e la ghost track “Day of Celebration”, c’è spazio per l’arte più pura.
Questo disco, baciato da un successo epocale, a distanza di tanto tempo non ha perso molto del suo smalto. E’ vero, a posteriori lo possiamo considerare come molto studiato per venire incontro ai gusti della massa e forse troppo pendente verso il mainstream da cui in fondo l’autore si era sempre smarcato in tanti anni di onorata carriera.
Se l’obiettivo però era quello di ridare linfa al suo percorso creativo e di far tornare in auge il suo nome, c’è da dire che il risultato per Santana è stato pienamente raggiunto. Saranno piuttosto i due dischi successivi (“Shaman” del 2002 e “All That I Am” del 2005) a essere smaccatamente commerciali (oltre che meno ispirati) nel tentativo, non sempre riuscito, di ricalcare pedissequamente la formula vincente di “Supernatural”, con Santana affiancato da artisti anche di stampo pop.
Santana – Supernatural
Data di pubblicazione: 15 Giugno 2019
Tracce: 13
Lunghezza: 74:59
Etichetta: Arista
Produttori: Clive Davis, Carlos Santana, Jerry Duplessis, The Dust Brothers, Alex Gonzalez, Charles Goodan, Wyclef Jean, Lauryn Hill, Fher, K.C. Porter, Stephen Harris, Dante Ross, Art Hodge, Matt Serletic.
Tracklist:
(Da Le) Yaleo
Love of My Life
Put Your Lights on
Africa Bamba
Smooth
Do You Like the Way
Maria Maria
Migra
Corazon espinado
Wishing It Was
El Farol
Primavera
The Calling
Day of Celebration (ghost track)