Si respira un’aria di veritiera riscoperta in questa operazione di emersione dell’archivio di una delle più interessanti band del periodo post rock, quei Gastr del Sol capitanati dall’ex quinto Sonic Youth Jim O’Rourke e dal fedele David Grubbs; si tratta nella fattispecie di composizioni live o inediti del periodo 1995-98 rimasterizzate dalle sapienti mani di O’Rourke, per un album di un’ora e mezza abbondante, come nelle intenzioni del titolo che a dire il vero prelude a qualcos’altro da sfornare ancora.
L’ascolto di “We Have Dozen of Titles” riporta in vita sensazioni e atmosfere stridenti, che parlano di un periodo a suo modo esaltante per la ricerca musicale, dei freschi giovanotti fra Louisville e Chicago alle prese e totalmente inseriti all’interno della nuova evoluzione del rock, con litanie di chitarra classica insistite, quasi sempre di O’Rourke, versioni ambient di solipsismo al piano, quasi sempre di Grubbs, avanguardia con fiati e field recordings, brani di pre glitch in naftalina, rock classico ma disarmonico, ballads caustiche per cuori di roccia, eccetera eccetera.
La solita ostilità della proposta va di pari passo con l’interesse per la sua eterogeneità che oggi, a distanza di 30 anni, suona come un’anticipo di future svolte che diventeranno popolari e accettate dal mainstream, vengono in mente in primis i Radiohead a partire da “Kid A”, piuttosto che ad un rinnovato piacere nel cogliere tutto sommato l’ardore e la purezza dell’esercizio di ricerca della band americana, nei sottili disegni di riempimento del silenzio, nelle trame lunghe ed insistite su pochi accordi o note, dove l’intensità del suono minimale del piano evoca un jazz spettrale alla The Necks, dove il mestiere di musicista assurge alla sua più nobile dimensione, di elevarsi verso una profonda riflessione sul senso della musica e dell’aspetto compositivo.
Non che queste 12 tracce siano, va da sè , l’immagine di un coerente disegno commerciale, ma tra le righe certamente si percepisce l’intento del marchio Gastr del Sol di riportare alla luce quel periodo di intensa e libera ispirazione, dando un senso concreto al presente, di qualcosa che era indefinito allora e che oggi trova appunto una maggiore comprensione rispetto a tanta strada che l’alt rock ha compiuto fin qui.
Ci vuole pazienza e un pò di coraggio nell’affrontare questa sporca dozzina, anche selezionando, non tutto è interessante, ma l’apparente casualità dei suoni e della sequenza dei brani nasconde un sottile filo degno di attenzione.