Usciva nel lontano 2013 quello che, a mio avviso, resta il disco dei Proctors per eccellenza, ovvero il magnifico “Everlasting Light”, che segnava un vero e proprio tuffo nella nostalgia per tutti gli orfani della Sarah Records. In quel lavoro veniva magnificamente ricreata l’estetica, il sound, il messaggio di quella storica etichetta: Gavin Priest compiva un vero e proprio miracolo sonoro, lasciandoci in lacrime, con un trasporto che non vi dico. Un disco irripetibile.
Faccio questa premessa per dire che “Snowdrops and Hot Air Balloons”, pur muovendosi su quelle coordinate, non raggiunge i livelli di eccellenza assoluta di quel lavoro, ma solo perché lì si toccavano delle vette melodiche ed emozionali assolutamente irripetibili. Il nuovo album dei Proctors quindi avrete capito che, pur non potendo competere con quella pietra miliare, è comunque un prodotto di ottima fattura, con i pezzi forse più ordinari nel finale (“Talking To Machines” e “Dreaming Of Another Girl”) e una qualità maggiore nella prima parte, e farà felici ancora una volta gli adoratori di un guitar-pop che trabocca di jangle, arpeggioni e voci delicate che si muovono su chitarre agrodolci e i synth carezzevoli che riempiono gli spazi.
Prendiamo “Summer Begins”, l’emblema assoluto del disco e del messaggio sonoro di Gavin e compagni, non ci si scappa, è già tutto lì, perfettamente delineato in un brano che più manifesto di così non si può. In realtà, per il sottoscritto, le cose migliori della band le troviamo quando esulano dal trionfo jangle più pimpante che comunque apprezzo (“You and Me and the Sea”, “Crystaline Part 2” o la robusta “Seven Wonders” che ha pure un assolone bello sporco) e si buttano sulle cose più delicate e suggestive, prendiamo ad esempio “Footsteps” che sembra uscire dalla penna dei Brighter, il taglio dream-pop di “Silhouettes”, la magnifica “Kaleidoscope”, con quella parte centrale che va in crescendo e poi l’onirica “The Final Kiss”, sospesa su un mondo shoegaze con la chitarra che va a rifinire in modo celestiale con i suoi arpeggi morbidi, davvero un ultimo bacio che ci lascia senza fiato.
Dopo il disco dei The Blue Herons il jangle-pop trova un punto fermo nel nuovo disco dei Proctors, bene, molto bene così.