La fine dei Japan arrivò improvvisa e inaspettata, dopo un lungo percorso di crescita che album dopo album li aveva visti migliorare negli anni e il successo di “Tin Drum” (qui) si pensava che fosse finalmente arrivato il loro momento.

Il singolo “Ghosts” aveva scalato la classifica inglese arrivando al quinto posto e la loro popolarità fino a quel momento evidente solo in Giappone ( dove erano delle vere e proprie star e David Sylvian un sex symbol ) era improvvisamente esplosa, eppure da quel momento qualcosa si era iniziato a rompere.

I Japan con il passare degli anni si erano trasformati in una creatura completamente in mano a Sylvian che era diventato l’autore di tutti i brani, relegando le chitarre in secondo piano e diminuendo l’apporto di Rob Dean che finirà per abbandonare la band ben prima del loro scioglimento.

Motivi di attriti non mancavano anche con la sezione ritmica che era uno dei punti di forza dei Japan, in particolare con quel geniaccio di Mick Karn ( uno dei migliori bassisti degli anni 80 ) con il quale le divergenze professionali si sommavano a quelle personali ( la fotografa giapponese Yuka Fujii fidanzata di Mick Karn lo aveva lasciato per cadere tra le braccia di David Sylvian).

A completare il tutto c’era anche la complessità caratteriale e culturale di David che incarnava come pochi altri una visione musicale che era completamente artistica, una forma di art pop libera che poco riusciva a piegarsi alle esigenze mainstream che una band di successo doveva garantire dopo un grande successo.

Nel 1982 esce così “Oil on Canvas”, un live bellissimo e registrato magistralmente (ancora oggi il vinile che comprai all’epoca suona meravigliosamente bene), a sorpresa anche questo album scala le classifiche vendendo tantissimo e arrivando al quinto posto in UK:  come effetto collaterale si assiste a una riscoperta della band che vende anche molto dei precedenti lavori.

Questi eventi invece di salvare la band ne accelera la disgregazione, i Japan sono finiti e tra noi vecchi fan viene a crearsi un misto di dispiacere e di curiosità per il futuro  debutto di David Sylvian.

“Brilliant Trees” esce due anni dopo e ovviamente lo comprai senza aver ascoltato nulla prima della sua uscita, quando lo misi sul piatto l’amore non fu immediato e la cosa finì per intrigarmi più che scoraggiarmi (sapevo già in quale categoria di album amatissimi sarebbe finito, quelli che non sono immediati e crescono ascolto dopo ascolto ), cosi infatti andò a finire per quanto conoscessi ormai bene i percorsi creativi di David Sylvian questo nuovo album appariva diverso e molto coraggioso.

Per la sua realizzazione aveva chiamato diversi collaboratori tutti di grandissimo livello, Holger Czukay dei Can (basso, effetti sonori), Danny Thompson (contrabbasso), Jon Hassell (tromba), Mark Isham (tromba, sintetizzatore), Kenny Wheeler (flicorno), Ryuichi Sakamoto (pianoforte, sintetizzatore), Ronny Drayton (chitarra), Phil Palmer (chitarra) e coinvolgendo anche Steve Jansen e Richard Barbieri dei defunti Japan, il risultato è un lavoro che si muove su melodie difficilmente intercettabili e mostra un atteggiamento compositivo che a tratti sfiora il jazz e nel quale i vari collaboratori si muovono con ragionata intraprendenza.

Un album nel quale la forma canzone è difficile da riconoscere, i testi sempre bellissimi si sviluppano con visioni continue mentre musicalmente lentamente si crea un’atmosfera quasi etnica che si tinge anche di un funk cristallizzato, sintetizzatori e musicisti primeggiano tra arrangiamenti eterei e sorprendenti.

Un po’ come succedeva con “Remain in the Light” dei Talking Heads ( solo che qui la voce particolare e nervosa di David Byrne lascia il posto a quella particolare e sinuosamente avvolgente di Sylvian) i brani sembrano creare un microcosmo di sensazioni che pervadono tutto i lavoro, un eleganza che è anche espressione di una visione personale che rappresentano una chiusura con il passato e l’inizio di una nuova carriera per un grande autore.

Nonostante la complessità “Brilliant Trees” fu un album di successo arrivando al quarto posto nella top ten inglese e anche il singolo “Red Guitar” si comporterà bene riscuotendo un buon successo, in occasione di questo anniversario l’album è tornato sul mio piatto trovandolo ancora meraviglioso, non è invecchiato di un giorno  e ancora oggi brilla di luce propria, un gioiello immortale.

Pubblicazione: 25 giugno 1984
Tracce: 7
Genere: Art pop
Etichetta: Virgin Records
Produttore: David Sylvian, Steve Nye, Nigel Walker

Track List

1. Pulling Punches
2. The Ink in the Well
3.Nostalgia
4. Red Guitar
5. Weathered Wall
6. Backwaters
7. Brilliant Trees