Tratto dall’omonimo libro di Miguel Saez Carral, questa serie del distaccamento Netflix spagnolo si presenta sin dai suoi primissimi fotogrammi come l’erede ispanofono di “13 Reasons Why”.
Uno stupratore misterioso al centro della narrazione, l’ambientazione scolastica, le dinamiche di gruppo adolescenziali, i variegati retroscena famigliari delle protagoniste e la discalidicità meccanica nell’emettere messaggi finalizzati a mettere a suo agio la generazione Z sono tutti lì.
La sensazione però è che si tratti di una serie, al netto di una patina fatta di scelte musicali invadenti e clichet visivi di ogni genere, molto più sincera e credibile della parente americana. Vengono presentate sfumature, gradi, possibilità di pentirsi e rimediare – certo, non il mostro, quello rimane giustamente e iperdonabilmente mostro. La visione che ne esce è dunque quella di una società che può ricredersi e supportare le sue vittime, un’oggetto dinamico e composito che può riprogettarsi e sorprendere, invece che un blob di ipocrisia e aggressività che ti schiaccia ineluttabile.
Molto interessante poi come la storia gioghi con lo spettatore tradendo continuamente le sue aspettative. Le cose sono sempre più complicate di quello che sembra, le linee d’ombra di molteplici personaggi sono numerose e fino agli ultimissimi episodi non è ancora chiarissimo nulla, nemmeno chi sia la vittima e se il carnefice lo sia davvero.
Un plauso alla piccola Nata, che quest’anno di aggiudica il premio Skyler White come personaggio che prenderesti a paccheri a ogni apparizione.